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«...Non voglio altre scuse Mattia, sei licenziato!»

Erano state le dure parole di Flaminia in seguito ai miei tentativi di giustificare inutilmente il pandemonio che ero riuscito a scatenare all'interno del ristorante in soltanto trenta secondi.

Me lo meritavo.

Che idiota!

Mi trascinai afflitto nel piccolo stanzino vicino alla cucina che a noi camerieri era permesso usare come spogliatoio. Subito dopo mi slacciai il grembiule e mi sfilai con rabbia la polo blu che indossavo. La strinsi tra le mani e la accartocciai per bene prima di gettarla con tutta la mia forza contro la parete che mi trovavo di fronte.

Inaspettatamente, il viso allungato di Flaminia sbucò dal nulla facendomi sobbalzare e prima ancora di cominciare a parlare, si preoccupò di squadrarmi in silenzio, dalla testa ai piedi, con la sua solita aria da arpia.

«Fisico niente male.» Disse schierandosi la voce poco dopo. Io restai a guardarla perplesso.
«Non so come ma, » Continuò poi, stringendo tra l'indice e il pollice la stanghetta dei suoi occhiali da vista lasciandoli scivolare sempre più giù fino ad arrivare alla punta sottile del suo naso. "Sei appena stato assolto da un cliente. Dice di essere stato lui l'artefice di tutto. Naturalmente ho fatto finta di crederci. Ora rivestiti e torna di là!» La sua testa sparì dietro la porta all'istante. «Sei salvo... Per ora.» Era quello che dall'interno dello stanzino ero riuscito a sentire mentre la voce di Flaminia si faceva sempre più lontana.

Nella mia mente balenò all'istante l'idea di Daniel che sorprendentemente era riuscito a convincere Flaminia a risparmiarmi il licenziamento.

Raccolsi la polo dal pavimento e me la rinfilai di corsa, affrettandomi a ritornare nella sala con l'intento di riuscire a ringraziarlo. Lo cercai a distanza, sperando di incrociare i suoi occhi in mezzo alla folla di gente che riempiva il locale. Poi mi avvicinai al tavolo dove poco prima si era accomodato per la cena e mi accorsi che era già dovuto andare via. Quello che trovai sulla tovaglia ancora macchiata di sugo alle vongole, fu un bigliettino da visita del "Palazzo San Luca" dove sul retro era stato scritto il numero 328, che con molta probabilità, era quello della sua camera d'albergo.

*

Lo avevo portato con me, nella tasca dei pantaloni, mentre mi trovavo seduto dentro l'auto di Christian, che come mi aveva già anticipato, dopo la chiusura del ristorante sarebbe venuto a prendermi per celebrare il nostro primo anniversario. L'unica cosa a cui riuscivo a pensare però era il significato che doveva avere quel bigliettino lasciato in bella vista sul tavolo del ristorante. Daniel lo aveva riposto lì di proposito? Voleva forse dire: Vienimi a cercare, sai dove trovarmi? Oppure era stato uno gesto sbadato, un fortuito caso, quello di svuotare le tasche dalle cartacce di cui non abbiamo più bisogno, come fazzoletti, scontrini e biglietti da visita di hotel dove molto probabilmente la receptionist ha scritto il numero della tua stanza, ma una volta memorizzato ti disfai del bigliettino subito dopo?

«Tutto bene? Mattia?» Christian sollevò la mano dal cambio dell'auto e la poggiò sul mio ginocchio cominciandolo a massaggiare delicatamente.

«Si!» Ritornai alla realtà, col terrore che fosse capace di leggere i miei pensieri. Ma nel momento in cui l'avesse fatto, perché avrei dovuto preoccuparmi? Certamente, non mi sarei mai presentato nella camera d'albergo di Daniel! Per fare cosa poi? Ringraziarlo? Non pensai sarebbe stata una buona idea, e Christian aveva organizzato una serata speciale soltanto per noi due. Non avrei mai potuto lasciarlo da solo per correre da Daniel. No! Sarebbe stato un errore di cui mi sarei pentito.

«Allora, dove si trova questo posto magico di cui mi parlavi?» Cercai di scacciare via tutti i pensieri che riguardavano Daniel, abbozzai un sorriso e tirai fuori dalla tasca la mano che non la smetteva più di sfregare tra il pollice e l'indice quel dannato bigliettino.

«Mattia, ti ho detto che si tratta di una sorpresa.»

«Dammi soltanto un piccolo indizio?»

«Ha una vista fantastica!»

Posai la mia mano sulla sua, che ancora dolcemente continuava a massaggiare la mia gamba.

Poco più tardi, quando Christian accostò l'auto nei pressi di Fontana di Trevi, mi si serrò la gola.
Mi sembrò, per un breve istante, di non riuscire più a respirare.

"I-Il posto di cui parli... Si trova qui vicino?»Balbettai con un filo di voce. Cercai poi di camuffare il terrore che si era fatto strada in me con un colpo di tosse.

«Si, è soltanto a pochi passi!» Esclamò facendomi segno di seguirlo.

Fa che non sia quel posto! Fa che non sia quel posto!

Camminavo a testa bassa, dietro di lui, fino a quando all'improvviso non vidi le scarpe di Christian fermarsi proprio davanti all'ingresso di "Palazzo San Luca".

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