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6 Novembre 1992

È quasi passato un mese ormai, da quando hai subito quell'intervento.

Gli alberi si sono completamente spogliati delle foglie, il cielo è perennemente grigio e tu sei diventato l'abituale destinatario di ogni singola pagina di questo diario.

Spero non ti dispiaccia, ma parlarti anche attraverso un foglio mi fa sentire più speranzosa nel credere che un giorno potrò anche fartelo leggere, così che tu possa essere a conoscenza di tutto quello che è successo durante la tua assenza.

Non è cambiato comunque molto da quel giorno. Sei ancora confinato in quella stanza bianca e sterile, e non ti sei ancora svegliato. I medici si prendono cura di te, ma non si lasciano andare a nessun commento. Si limitano a dire che bisogna aspettare. Probabilmente sentono il peso di poterci dare delle false speranze.

Mattia continua a passare ogni giorno nella stessa e identica maniera: si alza ancora prima che io mi svegli, porta fuori la spazzatura e fa fare il giro del vicinato a Dakota. Cerca di darsi sempre da fare in casa, si occupa delle lavatrici, di lavare i piatti, collabora come meglio può. So che si sente un peso, nonostante gli abbia detto almeno un centinaio di volte che per me è un immenso piacere ospitarlo e avere un po' della sua compagnia. Da quando la mia famiglia è tornata in Scozia, mi sono sentita spesso e volentieri molto sola. Adesso tornare a casa e trovare Dakota accartocciata tra le gambe di Mattia sul divano mi scalda il cuore, nonostante l'infinita tristezza che scorgo nei suoi occhi.

Dopo averla riportata a casa, Mattia esce nuovamente e si incammina verso l'ospedale, per venire da te. Quando posso, cerco sempre di accompagnarlo in macchina e di venirti a trovare, ma è sempre più difficile conciliare i miei orari di lavoro con quello delle visite. Al Daily Mirror non mi lasciano nemmeno il tempo per respirare. Il caporedattore mi sta facendo letteralmente impazzire e non vedo l'ora che i miei mesi di praticantato finiscano per ricevere un normale contratto dove non vengo pagata una miseria per portare caffè, fare fotocopie o occuparmi soltanto di editing, quando mi piacerebbe, finalmente, poter essere in grado di scrivere un vero e proprio articolo che porti a piè di pagina il mio nome e cognome.

Faccio quello che posso, Daniel, e ogni giorno immagino di sentirmi dire da Mattia che ti sei svegliato, che stai guarendo, ed ogni volta che dalla sua bocca non escono quelle parole, mi dico che si tratta solo di un altro giorno e che prima o poi succederà.

Deve succedere! Devi svegliarti!

Devi farlo per tuo padre, per Caren, per Giselle e per Mattia. Quel ragazzo ti ama più di quanto tu possa immaginare, sai? Corro sempre da lui, e da te, non appena stacco dal giornale.

Quando oggi sono entrata nel reparto di oncologia, l'ho trovato seduto a fianco alla porta della tua stanza con una gamba accavallata sull'altra, e un libro tra le mani.

Ci ho messo un po' a capire quello che stava facendo.

Inizialmente pensavo stesse semplicemente leggendo, bisbigliando per conto proprio, poi invece ho notato la spia rossa dell'interfono al lato della porta lampeggiare, così ho capito che stava leggendo per te, Daniel.

Io me ne sono rimasta in silenzio, nascosta dietro la parete del corridoio per non disturbarvi.

Si sentiva l'eco della sua voce roca venire fuori dalla tua stanza, e i suoi polsi tremavano leggermente mentre ti raccontava del piccolo principe e di come ha fatto ad addomesticare quella volpe che voleva tanto essere unica al mondo per lui.

Poi si è fermato per un breve istante. Gli si è spezzata la voce e si è asciugato le lacrime con la manica della felpa, prima di continuare.

È rimasto in quella posizione, a leggere per te, per diverso tempo. "Il tuo petit prince è qui ad aspettarti..." Lo ha sussurrato prima che l'infermiera andasse a spegnere l'interfono che ti permette di sentire la sua voce. Poi è ritornato sul vetro e ci è rimasto ad osservarti fino alla fine dell'orario delle visite. Posa sempre una mano in corrispondenza del tuo viso, chiude gli occhi ed io riesco a percepirlo, il modo in cui immagina di accarezzarti una guancia. "A domani, piccolo." Bisbiglia, guardandoti per un ultima volta, prima di andare via.

Tuo padre ha capito tutto. Di voi due, intendo. Non ha avuto bisogno di nessuna spiegazione.

Mattia non lo sa, ma ogni pomeriggio Robert va via dall'ospedale con una scusa qualunque così da lasciarvi da soli per qualche ora.

L'ho sentito mentre diceva a Giselle che non gli importa nulla di chi tu voglia amare. Te lo ha anche detto mentre ti guardava da quel dannato vetro che ti separa da noi, e dal suo riflesso ho visto i suoi occhi riempirsi di lacrime. Ti ha chiesto scusa, a bassa voce, per essere stato un pessimo padre, per non averti mai capito e per aver anteposto i suoi bisogni ai tuoi. Ti vuole bene, Daniel, tutti te ne vogliamo e non vediamo l'ora di poterti riabbracciare.

L'altra mattina, mentre camminavo verso il giornale, mi sono imbattuta in Josh e Nel. Camminavano mano nella mano. Stanno insieme adesso, non ti sembra assurdo? Oh, se soltanto riuscissi a vederli... Immagino che ti lasceresti andare ad una piena risata, e poi penso a come sulla tua guancia si formerebbe quella fossetta che è riuscita a conquistarmi dalla prima volta in cui ti ho visto sorridere.

A scuola, Nel era cotta di Mattia, e Josh, il tuo amico di nuoto e di disavventure non l'avrebbe mai degnata di uno sguardo. Ma gli anni passano, e le cose cambiano. Sembrano felici assieme. Non ci hanno messo molto a chiedermi di te, Daniel. Pensavano che tra noi due ci fosse ancora qualcosa, e io ho risposto di no, sorridendo. Poi ho raccontato del tuo male, e Nel è scoppiata a piangere. Dicono che verrano a trovarti presto. Siamo tutti in pena per te...

Domani sarà un giorno migliore, Daniel. Domani mi sveglierò con una nuova speranza e se non dovesse accadere nulla, aspetterò ancora un altro giorno, e poi ancora, e ancora, finché quest'incubo non avrà fine.

Mi aggrapperò a qualunque cosa pur di non gettare la spugna.

Non perderò la speranza, Daniel.

Mai.

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