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Ero riuscito a liquidare Christian con una scusa banale quanto quella di avere da studiare per tutta la sera. Quand'era successo che ero diventato uno stronzo egoista che mente spudoratamente?

Cominciavo a detestarmi, non volevo mandare al diavolo la mia relazione e non volevo essere quello che ero quando Daniel mi stava intorno.

Era ripiombato nella mia vita all'improvviso, si era fatto vivo dopo tre anni, con prepotenza poi aveva stretto il mio cuore e l'aveva scosso in un breve istante.

Daniel stava diventando una pericolosissima recidiva di un virus di cui il mio organismo non riusciva più a procurarsi gli anticorpi per difendersi.

Con addosso i miei sensi di colpa, mi trovavo adesso davanti alla porta della sua stanza, nuovamente, in preda alla paura, tra angoscia ed eccitazione. Conoscevo benissimo il prezzo che avrei dovuto pagare per continuare a mentire ad entrambi, ma avrei preferito di gran lunga una coscienza sporca piuttosto che affrontare a viso aperto una realtà che avrebbe procurato soltanto sofferenza, in qualsiasi direzione avrei deciso di muovermi.

Poi me lo ritrovai davanti: gel sui capelli, le ginocchia appena coperte dai calzoncini, la camicia in lino, candida come la sua pelle ancora poco abbronzata e le mie già pochissime certezze che andavano a farsi fottere non appena avevo avvertito l'odore del suo profumo.

Oh, quel profumo!

Un suo battito di ciglia, ed era già riuscito a liberarmi dai tormenti, ma io volevo resistergli, perché credevo di essere diverso da lui, di avere delle responsabilità, degli obblighi e delle regole che non avrei mai infranto. Stavo giocando con il fuoco, ma lo facevo cercando di non oltrepassare certi limiti. Rimanevo in bilico, tanto quanto bastava per sentire il vuoto sotto i piedi ma non cadere. Se avessi fatto ancora un passo in avanti sarei sprofondato nel precipizio dall'inevitabile ma incognita fine, mentre io preferivo tenermi strette le placide certezze. E allora prendevo tempo.

Divertiamoci Daniel, tira fuori le tue carte migliori e io darò solo una sbirciata, quanto basta per provare un brivido impercettibile. Poi quando mi verrà voglia di svelarti le mie, saprò che sarà tempo di andare via per tornare nella mia isola senza portarmi dietro il peso dell'infedeltà.

Era vigliaccheria forse, bassezza, codardia, ma io preferivo vederla come una lotta eroica, un atto di spavalderia e audacia nell'affrontare quel fuoco a mani nude senza rimanerne scottato e senza procurare del male a nessuno dei due. Dei tre.

«L'orticaria?» Era sempre stato il suo strano modo per iniziare una conversazione. Non un "ciao", non un "come stai?", niente convenevoli. Qualsiasi domanda disinteressata sarebbe andata bene per lui.

«Che?» Risposi di getto, preso alla sprovvista.

«Tuo cugino, con l'orticaria. Sta bene adesso?»

«Oh, si sì. Lui sta più che bene!»

«Che fortuna! Mi dispiace per lui, sai? Anche io da adolescente non andavo matto per stare in mezzo alla gente.»

«Ricordo. Poi cosa è successo?»

«Sono cresciuto.»

Grazie tante.

Mentre ci lasciavamo "Palazzo San Luca" alle spalle, ci fermammo davanti alla vespa con cui l'avevo visto sfrecciare via quella stessa mattina.

«Che ci fai con questa?»

«La uso per muovermi.» Mi passò fugacemente una mano tra i capelli, spettinandoli.

«Dico, come mai se ti fermi a Roma per così poco hai deciso di prendere una vespa?»

«E chi ti ha detto che mi fermo qui per poco?»

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