XXVIII. LA RIVELAZIONE

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Quella notte, nonostante il freddo, lasciai la finestra accostata. Sapevo che Joseph avrebbe potuto metterci un po' di tempo, ma non dubitavo che sarebbe arrivato, che sarebbe venuto da me. M'infilai sotto le coperte, per difendermi dall'aria gelida. Sotto indossavo una leggera camicia da notte di seta che mi arrivava fino alle caviglie. Un capo che avevo scelto con cura, proprio con il desiderio di farmi vedere da lui.

L'orologio del piano di sotto suonava le due quando sentii qualcosa sbattere contro il vetro. Mi tirai subito su, il cuore in gola. Restai ferma, in attesa, quasi temendo che un mostro sarebbe entrato nella stanza. E poi mi sfuggì un sorriso. Joseph mi guardava da dietro il vetro e muoveva una mano in segno di saluto. Scesi dal letto e corsi verso di lui, scalza, incurante del freddo. Gli aprii completamente la finestra e l'aiutai a entrare.

-Ti ammalerai- mi disse, il suo sguardo che mi accarezzava –non ti sei coperta adeguatamente-

-Non ho freddo- mentii.

-Vorrà dire che ti scalderò io- affermò lui, comprendendo la verità –e la cosa non mi dispiace per niente-

-Sei proprio scandaloso- borbottai, il cuore in gola.

-E a te piace- mi afferrò per la vita, strappandomi un urletto.

La mattina seguente la neve era così alta che arrivava alle ginocchia

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La mattina seguente la neve era così alta che arrivava alle ginocchia. Sembrava quasi brillare alla luce del sole. Quando mi sveglia Joseph se n'era già andato. Mi stiracchiai nel letto, sotto le lenzuola che non mi erano mai sembrate tanto confortevoli. Le scene della notte precedente si fecero strada in me. Non avevamo superato l'invalicabile, quello no. Non ero completamente ingenua riguardo ai pericoli di spingermi troppo oltre e Joseph non aveva voluto mettermi in una posizione scomoda. Allora perché mi sentivo così strana? Come se avessi fatto qualcosa di sbagliato.

Mia madre mi attendeva in sala da pranzo, dove aveva ordinato ai domestici di apparecchiare la grande tavola per la colazione. I Christmas Craker, di mille colori e dimensioni, erano usati come segnaposto.

-Dovete prepararvi in fretta- disse nostra madre. Indossava un bellissimo abito rosso di velluto. Un regalo di mio padre. Un modo per farsi perdonare delle sue lunghe assenza e non solo, compresi. –Tra non molto inizierà la Santa Messa-

Presa com'ero dalla notte passata con Joseph me n'ero quasi dimenticata. Abbassai lo sguardo e vidi che indossavo un semplice abito blu.

-Io devo andare- sussurrò lui.

-Tornerai questo pomeriggio?- gli chiesi, avvicinandomi il più possibile a lui.

-Certo- mi prese dolcemente la mano e me la strinse. E io gli credetti, perché non avrei dovuto?

Quando arrivammo la piccola chiesa era gremita di gente. Mio padre ci precedette, tenendo a braccetto mia madre. Erano proprio una bella coppia, pensai. Lo penso ancora. Non posso dire di non aver mai visto una coppia più felice della loro, più unita, più innamorata, però sono certa che stessero benissimo insieme. E chiunque li vedesse dall'esterno non poteva immaginare che quella era solo apparenza, che il rapporto era incrinato come un vecchio specchio. Mio fratello si trovava tra me e mia sorella.

-Kevin, vieni avanti- disse Chris, voltandosi verso il suo amico. Kevin era un paio di passi dietro di noi, la testa china, l'espressione assorta chissà in quali pensieri. –Perché non prendi a braccetto Pania?- chiese.

Io lo fulminai con lo sguardo, ma mio fratello, come sempre, m'ignorò.

-Certo- si affrettò a dire Kevin e un attimo dopo me lo trovai accanto –desiderate appoggiarvi?- chiese, con uno sguardo talmente dolce che non osai dire di no.

-Sì, molto gentile- mi appoggiai al suo braccio e lo sentii tremare leggermente. Mi ritrovai a pensare che Joseph non avrebbe tremato.

Procedemmo così tra le varie persone che già avevano preso posto nella piccola chiesa. Mi spinsi sulle punte, mentre i miei occhi volavano alla ricerca di Joseph, inutilmente. L'unica cosa che incontrarono furono le grandi vetrate dai colori splendenti, quelle che raffigurava scene gioiose e quelle invece che ritraevano l'eterna infelicità. Angeli dalle ali spiegate, peccatori che bruciavano nel fuoco. Le figure di beatitudine e dannazione si alternavano. Mi avevano sempre fatto uno strano effetto, ma quella mattina sentii lo stomaco stringersi in una morsa. Ripensai al tempo passato insieme a Joseph, a come mi ero lasciata andare con lui, fino a dove mi ero spinta. Sentii il mondo ruotarmi intorno e se non fosse stato per Kevin probabilmente sarei caduta.

-Tutto bene?- mi chiese lui, la voce carica di preoccupazione. Lui era sempre preoccupato e premuroso. Fin troppo. Provai un fastidio strisciante.

-Sì, certo... fa troppo caldo qua, non trovate?- mi affrettai a dire, mentre cercavo di controllare il respiro.

-Avete ragione, probabilmente è dovuto al fatto che c'è molta gente... volete uscire?-

-No, no- mi lasciai guidare fino alla nostra panca, dove mi sedetti stancamente. Le gambe non mi reggevano più. Puntini neri invadevano il mio campo visivo. La consapevolezza di me e Joseph insieme... era sbagliato quello che avevamo fatto? La società non avrebbe certamente compreso io stessa un tempo non avrei compreso. E se Joseph non mi avesse più voluta? Se fossi diventata una di quelle ragazze perdute che tutti disprezzavano? Ripensai a Katlyn, le sue urla disperate e cariche di un dolore senza nome, rimbombavano nelle mie orecchie. Era quindi quello il destino ultimo di noi donne? Essere madri, figlie, sorelle, amiche... ma mai nulla di più? Non poter mai amare liberamente... non seguii quasi le parole del parroco, non ci riuscii. Kevin mi fissava preoccupato, percependo il mio malessere. Avrei dovuto amare uno come lui... non Joseph, non un essere fatto di tenebre... ma il Joseph che conoscevo io non era tenebre. No, era dolce, buono, sincero... era più di Chris, più di Kevin, più di mio padre, quell'uomo che non riusciva mai a essere sincero, che probabilmente non lo era neppure con sé stesso. Vivevo con dei bugiardi, compresi con orrore. Il mondo era popolato da ipocriti bugiardi. E l'occhio mi cadde sull'abito rosso di mia madre. Una bugia, un regalo per farla tacere. Fissai mia sorella, sorridente e pudica, lei che aveva concesso tutto a quel Lars, quel ragazzo che Joseph disprezzava. Notai la bella Fanny Brytar, amica di mia sorella, tanto perfetta quanto sciocca, che sarebbe stata disposta a strapparsi la pelle pur di trovare marito. Eravamo noi donne le prime bugiarde, che abbassavamo il capo, contente di un mondo che ci teneva in disparte, di uomini che non riuscivano ad amarci veramente, che ci sfruttavano, che ci succhiavano la vita, che ci...

-Pania?-

Una voce che mi chiamava, lontana come le stelle. Mi resi conto solo in quel momento che avevo gli occhi chiusi. Quando li riaprii incontrai lo sguardo preoccupato di Kevin.

-Vi sentite bene?-

-Sì, sì, ho caldo- mentii ancora, perché mentire era semplice, perfino confortevole. Perché mi era stato insegnato a mentire fin a piccola. Perché ero io la prima bugiarda. Mentivo a me stessa, ben sapendo che non avrei mai potuto avere Joseph. Restai muta, senza poter dire nulla, senza poter neppure respirare.

Fu quando uscimmo dalla chiesa che successe un fatto che sarebbe rimasto impresso nella mia mente. Una donna vestita di stracci si avvicinò.

-Beth- chiamò.

Riconobbi così Piper, quell'amica di mia sorella che mio fratello aveva punito. Non riuscii a provare rabbia verso di lei, nonostante tutto il dolore che mi aveva causato. Come ci si può arrabbiare con una derelitta? Era una donna rovinata.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate delle riflessioni di Pania?

A presto

La sposa del mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora