V. FIABE

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Il mio solo compagno, durante quelle lunghe giornate, fu un libro di fiabe. Enorme, pieno di figure, raccontava mille storie. Tra di esse c'era anche quella della mia omonima, la sirena Pania, innamorata del figlio del re dei Maori. Imparai così che le storie tra creature magiche ed esseri umani tendono a finire quasi sempre male. Beth mi prendeva in giro per le mie letture, sosteneva che non sarei mai stata capace di vivere nel mondo reale, troppo persa in quello fantastico. 

-Non sai quante cose succedono là fuori- sosteneva.

-Non puoi neppure immaginare quante cose succedono qua dentro- le rispondevo io.

Beth mi fissava con malcelato disprezzo. Lei che non riusciva a tenere in mano un libro per più di dieci minuti non riusciva proprio a comprendere come ci si potesse appassionare alla lettura. –Sono solo cose mai successe- mi pungolava.

-Non è vero, sono cose che continuano a succedere, ogni volta che vengono lette e immaginate, hanno l'immortalità in loro-

Beth sospirava. –Sei folle, lo sanno tutti che sei folle- e se ne andava, diretta alla sua vita fatta di cose vere. Una vita, a parer mio, incredibilmente noiosa.

Ogni tanto Beth mi paragonava addirittura alla zia Vittoria. -Diventerai come lei-

Io rabbrividivo di terrore a quelle parole. Mi sembrava che fossero quasi un oscuro presagio.

In quei giorni solitari feci amicizia con una bambina. Katlyn era la figlia del giardiniere della casa, magra e taciturna, con un enorme fiocco tra i capelli. La si poteva vedere in giro sempre con un libro tra le mani. I capelli le ricadevano sul viso quasi come un velo. Era solitaria almeno quanto me e anche lei aveva bisogno di un'amica. Insomma, eravamo due isolate in un mondo in cui tutti sembravano essere felici. Fui io ad avvicinarmi a lei, vincendo la mia timidezza. La realtà era che la vedevo tutti i giorni dalla finestra della mia stanza e qualcosa in lei m'incuriosiva. Katlyn passava il tempo a leggere e sembrava che non le importasse proprio nulla del resto del mondo. Avrei voluto essere anch'io così indifferente. Un giorno d'estate decisi che era giunta l'ora di conoscerla, quindi scesi le scale e finsi di passeggiare avanti e indietro nel giardino. Lei era seduta su un muretto, quasi accoccolata, il libro, come sempre, tra le mani. Lo stava sfogliando.

-Cosa leggi?- le chiesi, avvicinandomi con passo incerto.

Lei alzò gli occhi, sorpresa. Il fiocco sembrò sussultare tra i suoi capelli. –Ehm, è solo la storia di una principessa che non sa di essere tale- sussurrò. Era arrossita.

-Sembra interessante-

E così nacque la nostra amicizia. Parlavamo per ore di romanzi e di storie, immaginavamo luoghi lontani ed esotici. Fu forse la mia sola amica.

Fu più o meno nello stesso periodo che cominciai a scambiare delle lettere con un misterioso interlocutore. All'epoca non sapevo chi fosse lui e non ho intenzione di rovinare la sorpresa a chiunque legga queste mie memorie. Il tutto iniziò un pomeriggio quando, dopo una passeggiata nel bosco con mia sorella e mia madre, trovai a terra, vicino a una grande quercia, un foglio piegato in quattro parti. Sebbene non fossi una di quelle bambine che venivano attratte da ciò che si trovava per strada, ne fui irresistibilmente attratta e mi chinai a prenderlo.

-Pania!- mi chiamò mia madre, sentendo il fruscio del mio abito e notando il fatto che ero rimasta indietro, io, la più ubbidiente delle sue figlie. Non poteva ancora sapere che quella era solo la prima di quella serie di ribellioni che avrebbero costellato la mia vita e che avrebbero tutte avute come centro una singola persona.

-Stavo perdendo la scarpetta- mentii, nascondendo la lettera, stranamente calda, nel corpetto.

Mia madre mi fissò con attenzione, come se potesse leggermi nei recessi dell'anima. Sfortunatamente per lei non comprese il motivo per cui mi ero fermata. Beth inoltre attirò subito la sua attenzione, cercando di arrampicarsi su un albero.

-Elizabeth!- urlò mia madre, correndo da lei e afferrandola per un braccio –Sei la mia disperazione!-

Beth sarebbe stata davvero la sua disperazione, forse perfino più di me, perché Beth adorava la ribellione di per sé, anche quando non c'era un reale motivo.

Quella sera, dopo cena, lessi finalmente il foglio che avevo trovato. Lo feci con il cuore in gola, la candela tenuta con attenzione, il rumore del mare che veniva portato nella mia stanza dal vento attraverso la finestra aperta. Le parole erano scritte con cura, anche se la calligrafia era un po' infantile.

"Spero che questa mia lettera finisca in mani sensibili, che sfiori la mente di qualcuno che, proprio come me, sia un sognatore, un folle, un amante dei sogni ad occhi aperti. Non so perché l'ho scritta, forse avevo semplicemente bisogno di affidare i miei pensieri a qualcuno. Non ho amici, non ho nessuno con cui confidarmi, nessuno che possa capirmi, che comprenda fino in fondo il mio dolore, forse non lo comprendo neppure io.

Lascia la risposta dove io ho lasciato questa lettera, passerò tutti i giorni a controllare"

Non ci misi neppure un istante a decidere che gli avrei risposto. Ero una bambina molto sola e poi amavo l'idea di avere un segreto, qualcuno con cui scambiare i miei pensieri, una persona che non avrei mai visto realmente. Fui onesta nella lettera che scrissi in risposta. Raccontai la mia vita alla villa, la tristezza e la solitudine. Il giorno seguente lasciai la mia lettera.

Ci scrivemmo per moltissimo tempo. Lettere piene di sentimento, di comprensione, forse perfino d'amore. Ho sentito, un tempo, che le anime gemelle stanno insieme ancora prima d'incontrarsi, che si sfiorano, si corteggiano, si accarezzano da sempre. Questa è la storia di due di loro, di come il destino ami giocare prima di permettere loro d'incontrarsi.


 

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate di questo capitolo?

A presto!

La sposa del mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora