Ieri

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Susanna

Stavo rientrando dalla spesa, avevo appena fatto rifornimento per la cena.  Avevo finalmente realizzato il mio sogno, il ristorante tanto agognato era stato aperto e senza modestia aveva un discreto successo. Avevo una prenotazione per una cena aziendale per la sera, un famoso industriale locale dopo tutta una vita dedicata al lavoro aveva deciso di ritirarsi cedendo la poltrona di CEO al figlio, e regalare agli anni che gli rimanevano da vivere tempo di qualità da trascorrere con la moglie che tanto aveva trascurato per raggiungere il successo.

Con una punta d'invidia avevo pensato a quando tutto questo sarebbe toccato a noi, quando finalmente avremmo potuto vivere vicini ogni giorno senza pensare alla successiva partenza, ma avevo scartato subito quei pensieri, eravamo giovani, avevamo tutta una vita davanti e ancora tanti sogni da realizzare.

Tutto il locale era stato prenotato e si trattava di un evento veramente importante per me, un ottimo trampolino di lancio per la mia attività, se avessi fatto buona impressione questa cena mi avrebbe aperto le porte del loro mondo ed io, ne avevo veramente bisogno. Non potevo permettermi errori, dovevo curare ogni minimo particolare e non avevo molto tempo a disposizione.

Mentre cercavo le chiavi per aprire la porta del retro del ristorante sentivo all'interno il telefono che continuava a squillare; indaffarata, sudata e stanca posai le borse per rispondere, lo feci con un filo di voce per la fatica convinta che fosse una delle solite telefonate perditempo.

Ascoltato l'interlocutore, un urlo disumano era uscito dalla mia bocca, avevo lasciato il ricevitore, perso i sensi ed ero caduta sul pavimento trascinando con me anche una parte della spesa.

Mauro che era passato per un saluto mi aveva trovato così, sul pavimento, ricoperta di farina, svenuta. Era riuscito mio malgrado, a farmi riprendere i sensi; avrei preferito non risvegliarmi mai più dopo la notizia ricevuta.

La telefonata ricevuta era della Farnesina, il convoglio sul quale viaggiava mio marito era stato preso di mira da una banda di criminali locali che avevano fatto esplodere un ordigno al loro passaggio. I corpi lacerati dall'esplosione degli altri commilitoni erano stati sbalzati lontano dai mezzi, il corpo di mio marito non era stato ritrovato.

Quando avevo ripreso i sensi, per un attimo avevo creduto che si trattasse di un terribile incubo e che io fossi ancora nella mia camera ma la presenza di Mauro che mi guardava spaventato e la spesa sul pavimento mi aveva ahimè fatto capire che quella che stavo vivendo era una triste realtà.

La notizia era uguale alle tante che avevo sentito per anni dai telegiornali e che per una sorta di protezione personale non avevo mai fatto mia, cercando di guardarla da fuori, facendo finta di credere che tutto quello a noi non sarebbe mai accaduto; anche questa volta ne parlarono i telegiornali ma questa volta la notizia mi riguardava, eccome ....

Inutile nasconderlo, essere la moglie di un militare mi aveva fatto valutare l'ipotesi che un giorno avrebbe potuto lasciarmi sola, ma era talmente tanto l'amore che provavo per lui che non avevo mai voluto prendere seriamente in considerazione quest'argomento. La sua morte avrebbe significato perdere la mia unica ragione di vita, avevamo ancora tanta strada da percorrere insieme, tanti progetti da realizzare, tanti sogni che desideravo diventassero realtà. Ero sola al mondo, ogni mio gesto, ogni mia parola, ogni mio pensiero era per lui, lui che mi aveva dato tutto l'amore e tutta l'attenzione di cui io avevo avuto bisogno, lui che mi amava da quando era bambino.

I giorni successivi a quella notizia erano stati un susseguirsi di telefonate, visite di militari graduati, sorrisi di circostanza, parole di sostegno, tutte cose che il mio cervello aveva appreso distrattamente come se la mia figura fosse lì, ma io non ci fossi realmente. Mi ero sentita come dentro ad una bolla, le voci mi giungevano lontane, capivo che tutti si rivolgevano a me ma io non riuscivo a distinguere le parole che mi erano rivolte, sorridevo, piangevo, sopravvivevo, fingevo ma non ero in me. La sera prima della sua ultima partenza c'eravamo amati di un amore disperato, dargli l'arrivederci quella volta era stata più difficile delle precedenti, non volevo lasciarlo andare. Un triste presagio aleggiava nella mia mente.

Una nuova albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora