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Deborah

Da qualche ora ero tornata alla missione, mi ero fatta una doccia e spazzolato i capelli, che ora cadevano morbidi sulle mie spalle e avevo indossato il mio vestito migliore.

Quando avevo preso la decisione di trasferirmi in Africa non avevo certo pensato al mio guardaroba, in quel momento le cose più importanti da salvaguardare erano le nostre vite, la mia e prima ancora quella di mia figlia. I vestiti eleganti non rientravano tra le mie priorità e da allora non avevo più sentito la necessità di averne. Indossai quindi l'abito che portavo il giorno del mio arrivo qui. Era rosso, abbastanza aderente, o almeno lo era nei punti giusti e valorizzava splendidamente le mie forme, soprattutto il mio seno abbondante.

Misi un po' di ombretto sugli occhi, un velo di rossetto e mi preparai a recitare la parte dell'ex moglie sconfitta ma pur sempre innamorata, pronta a dare una mano all'ex marito affranto dal dolore.

Assorta nei miei pensieri, seduta sul divano, sobbalzai al suo arrivo.

Mi stampai un sorriso in volto e andai ad aprire. Mauro invece non si era impegnato. Non aveva fatto nulla per apparire migliore di quello che realmente era. Indossava una camicia stropicciata e non freschissima, la barba era incolta e i pantaloni corti non gli rendevano giustizia. Dovetti sforzarmi per non chiedergli dove fosse finito l'uomo perfetto in giacca e cravatta che un giorno avevo amato e sposato.

Feci finta di nulla e lo invitai a entrare. Provai a essere disinvolta, gli offrii da bere e partii con le scuse. Gli dissi che ci avevo pensato molto e che avevo capito di non poter giudicare le sue scelte e la sua vita.

Avevo preparato anche una piccola cena che consumammo all'aperto; questa parte di Africa non aveva molto da offrire e soprattutto ci trovavamo in una missione non certo in un ristorante quattro stelle Michelin ma le donne del luogo mi avevano rivelato alcuni segreti di cucina locale e ormai ero diventata bravissima a preparare deliziose cenette con il poco che avevo a disposizione. Accompagnai la cena con le bevande del luogo, niente di paragonabile ai nostri vini o alle nostre birre ma gli offrii il meglio che riuscii a trovare. Lo scopo era di farlo sentire coccolato e al sicuro, solo così si sarebbe aperto con me, o almeno questo era ciò che speravo.

Inaspettatamente la serata si rivelò anche abbastanza piacevole. Matrimonio a parte, Mauro ed io avevamo condiviso molti anni di duro lavoro e di notti insonni passate sulle cause da risolvere e avevamo molti ricordi di quel periodo, gli argomenti insomma non ci mancavano.

Dal lavoro passammo velocemente al privato, parlammo del nostro matrimonio e inevitabilmente del suo fallimento. Lo invitai a parlare di Susanna, dicendogli che capivo quanto fosse doloroso affrontare l'argomento ma che ero pronta a supportarlo anche offrendogli una spalla sulla quale piangere, ormai avevo messo da parte la gelosia che provavo per lei, soprattutto perché avevo capito che con lei non avevo mai potuto competere, soprattutto ora che era morta e l'aveva lasciato con un bimbo piccolo da crescere nel suo ricordo. Mentre pronunciavo queste parole, la mia mano cercò timidamente la sua, la strinsi per provargli quanto gli fossi vicina, pronta a sentire quanto avesse da dirmi quel lurido verme, ma ovviamente questo pensiero lo tenni per me.

Mi parlò della nascita di Edoardo e di come casualmente avessero scoperto che Susanna fosse incinta. Mi raccontò dell'emozione provata quanto posatogli Edoardo in braccio, ricevette i complimenti perché padre di un meraviglioso bambino. Soffrivo a queste parole, mentre i suoi occhi erano lucidi per la commozione, i miei lo erano di rabbia. Avrebbe dovuto provare quei sentimenti per sua figlia e non per il figlio di un altro, dannazione!

Mi raccontò di come riuscisse ad addormentarlo dopo il ruttino e di quante camicie avessero pagato il prezzo di quell'operazione e di quanto fosse felice di questa paternità. Avrei voluto urlare eppure dovevo trattenermi e fare buon viso e cattivo gioco. Il mio piano non era concluso. Dovevo portarlo oltre, volevo la verità, a tutti i costi.

La mia accondiscendenza, il vino e la solitudine scaldarono l'atmosfera. La sua voce diventò sempre più roca e languida, il suo respiro più affannoso e le sue mani sempre più vicine al mio corpo. Sapevo, dove voleva arrivare e gli lasciai credere che anch'io lo volessi.

In breve tempo ci trovammo a letto, nonostante mi chiamasse Susanna tra di noi, (o ahimè tra lui e Susanna), c'era sempre stata una grande intesa sessuale che esplose, non appena ci riavvicinammo.

Stranamente non mi chiamò Susanna questa volta. Forse era arrivato il mio turno, tardi ma era arrivato.

Una nuova albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora