32. UN ARRIVO INSPERATO

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Non potevo più tirarmi indietro, lo sapevo. Inspirai a fondo e andai verso la mia fine, senza indugiare oltre. Salii prima su una sedia poi sul tavolo, arrancando, e mi misi a ballare, muovendo il corpo come meglio riuscivo. Non ero mai stata brava a farlo. Lauren sosteneva che fossi troppo rigida. Feci roteare il bacino in un movimento, mi resi conto con orrore, tremendamente grottesco. Sentii subito le risate. Tutti ridevano di me. Ero sempre stata goffa. Inciampai e caddi in ginocchio sul tavolo, le mani in avanti per pararmi. Altre risate. Izzy disse qualcosa che non compresi, lo sguardo divertito. Si fecero strada in me i ricordi del liceo. Io che inciampavo durante una gara di corsa, io che non riuscivo mai a prendere una palla quando giocavamo a pallavolo, io che venivo scelta per ultima nelle squadre di baseball durante l'ora di ginnastica. Mi tirai su, le ginocchia che mi bruciavano, un amaro sapore in bocca. Volevo solo andarmene. Saltai giù e corsi in una delle stanze vicino, barcollando, dove mi nascosi tra i ballerini, cercando di mimetizzarmi tra di essi, sperando così di evitare altre risate.

La testa mi girava. Sentii la nausea aumentare. Una ragazza, palesemente ubriaca, mi diede una gomitata. Improvvisamente volevo solo correre via, ma non ero certa di riuscire a farlo. Ero solamente una stupida. Quella non ero io. E presto sarei stata anche morta. Il pensiero mi colpì come uno schiaffo. Sentii la rabbia aumentare, mentre comprendevo finalmente la realtà. Stavo peggiorando, questo poteva voler dire solo una cosa. Sarei morta presto. Okay, forse ero un po' pessimista, ma... inspirai, le lacrime che mi riempivano gli occhi. Mi lasciai scivolare a terra, colpendo il pavimento con un pugno, incurante dei presenti che continuavano a ballare. Era finita, tutto era finito. Non avrei mai conosciuto la verità su Lauren, non sarei mai diventata l'ape regina, soprattutto non avrei mai conosciuto l'amore. Strinsi con forza i pugni, tanto che le unghie mi si conficcarono nei palmi delle mani. Il dolore mi fece sentire stranamente viva. Chiusi gli occhi, ignorata da tutti. In fondo era sempre così. E poi sentii qualcuno avvicinarsi. Fu più una sensazione che altro, una leggera stretta al cuore. Sollevai le palpebre e incontrai lo sguardo grigio di Ethan, all'altezza del mio, i capelli che parevano quasi scuri alla luce tenue della stanza. Si era chinato al mio fianco.

-Vicky- mi chiamò –ti senti male?- la voce vibrava di preoccupazione.

Aprii la bocca e mi sforzai di parlare, ma non ci riuscii. Avevo la lingua pesante. Colpa dell'alcol, forse. Oppure era l'effetto che mi faceva Ethan. Entrambe le cose, certo, non avrei però saputo in che misura.

-Ti porto via di qua- decise Ethan, visibilmente preoccupato.

Mi ritrovai ad annuire. Lui mi passò un braccio intorno alle spalle, quindi un altro sotto le ginocchia. Sentii il mio cuore aumentare i battiti al suo contatto. Le sue mani calde, le sue dita che accarezzavano i miei vestiti, il suo respiro contro il mio viso. Mi sollevò, alzandosi a sua volta, come se non pesassi nulla. Mi appoggiai a lui, la testa contro la sua spalla. Ethan mi condusse via. Mi sentivo protetta tra le sue braccia, come se fosse una cosa normale, come se fossi nata per stare stretta tra di esse.

-Pesi- commentò lui, rovinando il romanticismo del momento.

-Non sai che è maleducato dire a una donna che pesa?- controbattei.

-Certo, ma almeno ti ho fatta parlare-

Non gli risposi, ma affondai il viso nella sua maglietta, inspirando il suo profumo. Lavanda. La sua vicinanza mi calmò. Mi lasciai portare via. Non so per quanto tempo Ethan camminò, ma fui cullata dai suoi movimenti. Chiusi gli occhi. Mi sentivo tranquilla, come una bambina piccola. Compresi che a un certo punto stava salendo delle scale. Qualche minuto dopo fui posata su qualcosa di morbido. Un letto, compresi. Sollevai le palpebre e mi ritrovai a fissare lo sguardo grigio di Ethan.

-Dovresti riposarti- mi disse lui, la voce bassa, un flebile sussurro.

L'ambiente era buio. Mi tirai un po' più su, lottando contro la testa che mi girava e i puntini neri che mi danzavano davanti agli occhi. –Dove siamo?-

-Questa è la mia stanza... ti ho detto che sarei entrato in una confraternita-

Mi guardai attorno. In una situazione normale mi sarei sentita in imbarazzo, ma ora mi veniva solo voglia di ridere. Ero da sola nella stanza di un ragazzo, Lauren mi avrebbe certamente presa in giro. Mi pareva di vederla in piedi vicino alla porta. Un pallido fantasma con gli occhi vacui. La stanza era grande, con un armadio, una scrivania e un divano. Un po' troppo per un semplice studente.

-Riposati, io dormirò sul divano- mi disse Ethan.

-Un vero cavaliere- mormorai, afferrandolo per il polso –il letto è grande per entrambi- non me la sentivo di farlo dormire sul divano. Era colpa mia se aveva dovuto portarmi lì. Era solo colpa mia.

-Per me non è un problema-

-Lo sarebbe per me... se io non fossi una ragazza e tu non fossi un galantuomo questo problema non si porrebbe neppure-

-Ma la realtà è questa-

Scossi la testa, i capelli che mi finirono sugli occhi. Il movimento brusco mi fece pulsare le tempie. Ci mancava solo il mal di testa! –Sono stata una sciocca- sussurrai, la rabbia che traspariva dalla mia voce.

-No, non sei stata una sciocca-

-Sei gentile a mentirmi-

-Non ti sto mentendo, ogni tanto capita di esagerare-

Il mio era stato molto di più di un semplice esagerare. –Resta qua, al mio fianco, almeno per un po'- lo pregai. In un altro momento non lo avrei ai fatto, ma quella notte il buio mi faceva paura e mi ricordava quanto ero fragile. In lontananza potevo sentire la musica. La festa continuava, come se nulla fosse. Mi sfuggì un sorriso. La vita continua sempre.

-Va bene- mi assecondò Ethan e si sdraiò vicino a me. Sentii il materasso piegarsi sotto il suo peso e le doghe del letto cigolarono, un rumore che mi mise di buon umore. Era stranamente confortante, non mi faceva sentire sola.

-Mi ami davvero?- chiesi in un soffio.

Percepii Ethan irrigidirsi, ma dovevo fargli quella domanda, era necessario. Deglutii, la gola secca e dolorante, quindi attesi. Ero certa che mi avrebbe risposto.

-Sì- disse infine –ma non riesco a dirlo- c'era un misto di cinismo e tristezza nella sua voce.

-L'hai scritto però- gli ricordai, con un filo di voce.

-Non sai quanto ci è voluto per scrivere quelle parole... l'ho fatto solo perché sapevo quanto soffrivi e volevo farti capire che non eri sola, che c'ero io al tuo fianco, che ti avrei protetta da qualsiasi cosa, perfino da te stessa-

Sorrisi, lo sguardo perso nel buio.

-Non sei obbligata a dirmi nulla, se tu non mi volessi... capirei, so che non sono adatto per essere il tuo ragazzo-

-Invece lo sei- mi voltai, rotolando sul letto, in modo tale da poterlo guardare in faccia –vuoi la verità? Speravo che fossi tu, anche se non ti credevo capace di quelle parole così belle-

Ethan sorrise. –Davvero?-

-Sì, non ti credevo capace- gli sfiorai la guancia. La sua pelle era calda, i suoi capelli erano morbidi.

Gli sfuggì una risatina. –Ho tantissime doti che non conosci-

-Ho intenzione di scoprirle- lo abbracciai, appoggiando la fronte contro il suo petto. Inspirai il suo profumo e mi godette il suo calore.

Ethan restò immobile, rigido come una statua per qualche istante, poi si rilassò e mi strinse a sé.

-Vogliamo scoprirle?- gli chiesi.

-Sì- rispose lui –vogliamo scoprirle- le sue dita corsero dolcemente tra i miei capelli, giocherellando con loro.

Chiusi gli occhi. La nausea era scomparsa. Finalmente, dopo molto tempo, mi sentivo bene. E cos'era quella sensazione calda e avvolgente che mi premeva il cuore? Gioia? Forse era qualcosa di ancora più complesso. Era felicità. Vera e propria felicità. Sì, in quel momento potevo finalmente dirmi felice. Mi addormentai con quel pensiero e con il desiderio che nulla cambiasse.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

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A presto

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