54. IN CANTINA

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La porta della cantina della sorellanza era socchiusa. La fissai sorpresa e forse anche un po' diffidente. Non mi piaceva l'idea di scendere là sotto. L'atavica paura del buio, supposi.

-C'è una scatola da prendere- mi spiegò Izzy, pacata. Era appoggiata al muro, la maglietta un po' troppo larga. Lanciai uno sguardo alla sua pancia. Nulla, non si vedeva ancora nulla.

-In cantina?- chiesi, sforzandomi di dissimulare la nausea.

-Sì, potresti andare tu?- replicò Izzy -Mi gira un po' la testa- abbozzò un sorriso -ti tengo io la borsa-

Beh, non poteva neppure immaginare come stessi io. Mi morsi le labbra e annuii. Le porsi la borsa, che lei s'infilò nell'incavo del gomito. lI dolori allo stomaco e alla schiena erano lancinanti, striscianti. -Certo, ci penso io- la superai e scesi le scale. Lo stomaco mi si contrasse. Il buio era profondo, soffocante. Lottai contro il senso di fastidio e proseguii. Fu solo quando arrivai a metà che sentii un fruscio. Mi bloccai, appoggiando una mano sul corrimano. Là sotto c'era già qualcuno. Un brivido gelido lungo la schiena. Un presentimento che mi raschiò l'anima. Immagini di mostri che si muovevano nelle tenebre. Una paura atavica legata al buio, a esseri che appartenevano alle tenebre. Wolly Wood. Le scacciai, quindi mi sporsi un po' avanti e lo vidi. Ethan che stava spostando uno scatolone. Il mio cuore cominciò a battere furiosamente. No, non poteva essere vero. Non volevo affrontare Ethan, non ero pronta a farlo. Feci un giro su me stessa e mi affrettai a risalire la scala. Non feci in tempo a salire neppure un gradino. Izzy chiuse la porta con un tonfo.

-No!- gemetti, risalendo rapidamente i restanti scalini e lanciandomi contro la porta -Apri, ti prego, apri!- mi aggrappai alla maniglia e provai ad abbassarla. Inutile. -Izzy, Izzy, sei impazzita!-

Sentii dei passi dietro di me. Ethan. Deglutii, cercando di ignorare la sua presenza, nonostante fosse la cosa più difficile del mondo. Come si può ignorare il sole? E nulla per me era pericoloso come il sole.

-Izzy, apri! Mi sto sentendo male!-

-Dai questa l'ho inventata io per saltare i lavori in casa, fatti rianimare dal tuo compagno di prigionia- controbatté mia cugina, il tono da ape regina. Izzy, l'autoritaria. Ricacciai indietro la rabbia.

-Isabel- urlò Ethan, fermandosi un paio di scalini sotto di me -non stiamo scherzando- era minaccioso, come non lo avevo mai sentito.

Stiamo. Usava il noi. Come un tempo. Mi sforzai di concentrarmi su quello che stava succedendo.

-No, io non vi apro! Ragazzi, voi mi amate, è chiarissimo, dovete solo parlare, voi vi amate, non serve altro quando c'è l'amore- e sentii il ticchettio dei suoi tacchi che si allontanavano. Mi stava lasciando lì. Sentii le tempie pulsarmi e un forte dolore allo stomaco. Feci una smorfia.

-Vicky- due mani mi strinsero apprensive la vita. Un tocco che conoscevo fin troppo bene, due mani calde, avvolgenti. Mi sostenne. -Tua cugina è determinata- commentò, un velo d'ironia nella voce.

Io mi abbandonai per alcuni istanti contro di lui. Una sensazione bellissima. -Izzy è il mio personalissimo tormento- commentai.

-Competizione- dichiarò -riesci a scendere?- chiese, il tono stranamente dolce -Perché non credo che sia una buona idea restare fermi qua-

-Io... - avrei voluto dirgli che le gambe mi tremavano e la testa mi girava, ma decisi che non era il caso. Mary certamente non aveva questi problemi, non avrei dovuto mostrarmi più debole di lei. -Io ce la faccio- mi affrettai a dire.

Ethan mi fece girare verso di lui con attenzione, come se fossi una delicatissima bambola di porcellana, la fragile ballerina di un carillon. Evitai di guardarlo in faccia. Non volevo guardarlo. Non potevo incontrare i suoi occhi grigi, mi avrebbero fatto solo male.

Nelle luminose notti d'OrienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora