33. L'INCUBO

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Capii subito che era un sogno. Lauren era seduta nella sua stanza, davanti allo specchio, ed era intenta a pettinarsi i capelli scuri, ciocca per ciocca. C'erano almeno due incongruenze. Prima di tutto Lauren non si sarebbe mai pettinata da seduta. Lo faceva sempre in piedi, canticchiando una canzone. E poi nel sogno la mia amica era trasparente... letteralmente trasparente.

-Sto bene?- mi chiese, abbassando il pettine nero con dei disegni argentati.

-Sì- sussurrai. Ero seduta sul grande letto e mi sentivo sprofondare tra le lenzuola azzurre.

-Ne sei certa?- Lauren mi fissò attraverso lo specchio. Il suo viso era trasparente, ma i lineamenti sembravano tracciati con una penna. Era impressionante. Gli occhi erano due pozzi neri. Ci misi alcuni istanti a rendermi conto che non aveva la sclera bianca. Un brivido gelido mi percorse la schiena. L'iride scura occupava tutto lo spazio.

-Sì, tu stai sempre bene- mormorai.

-Sei mia amica, lo dici per questo- si voltò verso di me.

-Lo dico perché lo credo... perché non mi hai detto nulla?- le chiesi, gli occhi che mi bruciavano per le lacrime.

-Avrei dovuto?- sembrò in dubbio –Sì, forse hai ragione, avrei dovuto... lui è eterno, Vicky- balzò in piedi, elegante e rapida, e lasciò cadere il pettine che si schiantò contro il pavimento, andando in mille pezzi.

-Chi è?- domandai, sollevando i piedi per evitare le schegge. La camicia da notte che indossavo frusciò.

Lauren scosse la testa. Fu in quel momento che la vidi. La ferita sul collo, i due buchi profondi. Il morso. No, non poteva essere un morso, perché i vampiri non esistono. I mostri non sono reali. Oppure sì? –Scopri chi è stato, ti prego, devi scoprirlo... ma stai attenta, perché lui potrebbe venire a cercare te-

Una sensazione d'angoscia mi strinse lo stomaco e sentii un dolore strisciante risalire lungo la mia gola. Aprii la bocca per parlare, ma non ci riuscii. E poi finalmente il sogno terminò.

Mi svegliai con il cuore che batteva all'impazzata. Non compresi subito dove mi trovavo. Ero avvolta nelle lenzuola, la testa posata su un cuscino che profumava di lavanda. Mi stiracchiai confusa. Ci misi alcuni secondi a ricordare dov'ero e cos'era successo la sera prima e... la finestra! Mi tirai su e notai, con sollievo, che le tapparelle erano abbassate e le tende tirate. Mi lasciai cadere indietro, sentendomi bene. Ci mancava solo che diventassi cenere nel letto del primo ragazzo che mostrava interesse nei miei confronti. No, mi corressi, del ragazzo che mi amava. Il pensiero mi fece sorridere. Sì, Ethan mi amava e io amavo lui... no, non potevo amarlo. Non c'era abbastanza tempo. Sentii nuovamente la rabbia. Non era giusto, non era assolutamente giusto. Perché dovevo andarmene proprio ora che potevo essere felice? Cercai di calmarmi. Stavo peggiorando, ma non mi sentivo peggio, forse i medici si sbagliavano. In quel momento la porta si spalancò. Sollevai le coperte nascondendomi sotto di esse, terrorizzata all'idea che potesse entrare della luce.

-La mia bella addormentata è sveglia?- chiese Ethan con voce allegra. Molto allegra. Le labbra mi si piegarono in un sorriso. Allora era così essere innamorati? Si sorrideva sempre, per qualsiasi sciocchezza? Non era una brutta sensazione, al contrario, era davvero esaltante.

-Quasi sveglia- mormorai.

Sentii la porta chiudersi. –Ti ho portato la colazione-

-Molto gentile- osai abbassare un po' le coperte. La stanza era avvolta nel buio. Ethan era in piedi con un vassoio. Vidi che sopra c'erano dei piattini e due tazze.

-Spero di aver indovinato- si piegò stando attento a non far cadere tutto a terra –crostatine con crema di limone e caffè con molto latte-

Restai sorpresa. Come aveva fatto a sapere cosa mi piaceva?

Nelle luminose notti d'OrienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora