Capitolo 8

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Harry

Sospiro pesantemente e stringo gli occhi, poggiandomi al ripiano di marmo. Ho un mal di testa intenso, una sensazione di formicolio alla nuca ed un cerchio opprimente al centro del capo; le vertigini e il mal di stomaco mi stanno facendo impazzire da ieri mattina. Mi sono svegliato e mi sono addormentato spossato, completamente assuefatto dal dolore fisico e quello emotivo.

Non dormo bene da due notti, da quella maledetta festa di fidanzamento in cui tutto è sembrato precipitare più del solito. È stancante affrontare sempre le stesse discussioni con Daisy, sembra un eterno rincorrersi senza mai incontrarsi per davvero. A questo si aggiunge il terribile senso di colpa che sento appesantirmi quando guardo negli occhi i miei migliori amici: avevo l'opportunità di dire la verità e di condividere, di alleggerire, il peso che porto da quattro anni sulle spalle da solo. Un peso che, a questo punto, credo custodirò per sempre. Senza contare che il lavoro a Cambridge mi aspetta e gli esami sono ormai alle porte e la mia mente è completamente da tutt'altra parte. In questo momento della mia vita dovrei pensare soltanto al college, a divertirmi e alla laurea sempre più vicina, all'accademia di polizia e gli stage nei laboratori della scientifica, eppure io non sono un semplice ventitreenne - o almeno non sono come gli altri- e a volte vorrei che tutta la vita finora vissuta non sia altro che un incubo o l'esistenza di qualcun'altro. Purtroppo, puntualmente, ogni mattina mi sveglio deluso e con quel vuoto al petto sempre più abissale.

Una fitta lancinante alla testa mi distoglie dai pensieri e gemo sommessamente, stringendo i denti e respirando profondamente allo stesso tempo sperando che il dolore passi in fretta. Lo stomaco comincia a brontolare a causa della scarsa quantità di cibo che ho ingerito in questi giorni e che, oltre alla mancanza di sonno, mi rende debole e spossato.

Sono consapevole di dovere andare via da questa città perché i sentimenti che sto tenendo dentro non mi stanno facendo bene. Seppur le palpebre siano chiuse, gli occhi mi fanno davvero male e per questo, forse, devo incolpare la frenetica ricerca mattutina di un volo quanto prima disponibile. Tuttavia, mi sono sentito così male da dover uscire dalla stanza in cui mi sono barricato da giorni per bere un po' d'acqua e prendere qualche medicina che mi faccia stare meglio perché non riesco più a reggere il dolore.

«Harry ...»

Una dolce voce femminile, familiare, chiama il mio nome, ma ho la testa che mi scoppia e il suono arriva quasi ovattato - poco chiaro.

«Harry?»

Un'altra voce, quella di un uomo questa volta, mi chiama apprensivo, con un tono molto strano che, onestamente, non riesco a comprendere. Nonostante tutto, il dolore diventa ancora più forte e quasi mi si mozza il respiro. D'improvviso, nel buio dietro le palpebre riesco a vedere come degli sprazzi di luci colorate e sento di cadere, cadere ancora in un pozzo profondo in cui non riesco a risalire e tanto meno a respirare. Percepisco il cuore correre veloce e il senso di stanchezza diventare ancora più intenso.

«Harry!» la voce allarmata di mio padre mi fa aprire gli occhi, ritrovandomi lo sguardo dei miei genitori puntati su di me con i volti tirati dall'ansia.

Sono affannato, sono mezzo accasciato sul ripiano di marmo e tremo appena. Credo di aver avuto un attacco di panico, altrimenti questa strana sensazione di confusione mentale non si spiega.

Mio padre mi aiuta a rimettermi dritto, guardandomi preoccupato e attento. Una volta rimesso in piedi, mi allontano un po' dalla figura alta e possente dell'uomo che, non so precisamente perché, comincia a mettermi a disagio.

«Tesoro, cos'è successo? Stai bene?» chiede in ansia mia madre venendo verso di me, pronta a coccolarmi.

«Sto bene.» rispondo secco, con tono distaccato bloccando i suoi passi a solo qualche centimetro da me. «Sono solo stanco.» continuo sospirando, aprendo il frigorifero e afferrando una bottiglia d'acqua.

Endless 2 || H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora