Capitolo 12

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Harry

Freddo, non sento altro. Non ho percepito altro se non freddo da quando ho aperto gli occhi questa mattina. A ciò, si è poi aggiunto il vuoto e il buio; mi sento come se stessi precipitando inesorabile lungo uno strapiombo e ho la terribile consapevolezza che, prima o poi, mi schianterò e sarà una caduta dolorosa e micidiale. Ho il cuore che batte forte, ma allo stesso tempo sono senza forze perché mi sento svuotato di ogni emozione. Mi guardo allo specchio, completamente in ghingheri e pronto per partecipare ad un matrimonio che mi farà star male, che mi annienterà, e quasi non mi riconosco. Mi chiedo chi sia quel ragazzo privato di vitalità, di quella fiamma che prima ardeva dentro di sé; gli occhi sono fissi in un punto e adombrati dalla tristezza. Annodo la cravatta nera al collo con movimenti automatici, come se non fossi nemmeno realmente io a compiere quei gesti lenti e misurati, continuando a fissare un punto impreciso nello specchio. Del vecchio Harry non è rimasto niente, riesco a vederlo; lo hanno ucciso senza pietà né ripensamenti, togliendogli quella energia che emanava il giovane viso. Ora, quello che resta - quello che vedo con lo sguardo perso- è solo una persona, essenzialmente, colma di frustrazioni e rimpianti, ma senza emozioni positive, quelle stesse emozioni che sentiva ardere in lui quando era vicino a lei.

Con mani tremanti e movimenti flemmatici, stringo un po' il nodo alla cravatta e chiudo gli occhi per qualche istante, respiro profondamente cercando di trattenere le lacrime e la tristezza. Dietro le palpebre chiuse rivivo i momenti trascorsi di questa notte, uno per uno: riesco a sentire il sapore dei nostri baci, il colore del corpo minuto di Daisy sul mio, la forza con cui abbiamo intrecciato le dita, il salato delle lacrime scaturite dalla consapevolezza che sarebbe stata l'ultima volta insieme, i "ti amo" sussurrati, gli ansimi e i gemiti che riecheggiavano appena nella stanza. Sulla pelle e nel cuore, percepisco ancora i sentimenti che mi hanno invaso nel solo tenerla tra le braccia, quei stessi sentimenti che adesso sembrano essersi spenti lasciando solo posto all'amarezza e al rimpianto.

Quando questa mattina mi sono svegliato, sapevo benissimo che la donna di cui sono pazzamente innamorato non ci sarebbe stata, ma costatarlo per davvero, notando quanto freddo fosse il letto e quanto mi mancasse il contatto con il corpo caldo e morbido di lei, sono come crollato emotivamente e mentalmente. Non ho pianto, non ho dato sfogo a quel grosso macigno di emozioni che ancora pesa sul petto. Mi sono limitato a guardare il soffitto per ore, con la mente sgombra da qualsiasi pensiero - perché non riuscivo a formularne uno concreto, che avesse logicità-, ascoltando i rumori proveniente da una casa in fermento per l'evento che si sarebbe tenuto di lì a poco. Avevo detto che sarebbe stato difficile e che ne saremmo usciti distrutti, però non avrei mai pensato potesse essere così doloroso, così totalizzante. E in un momento di semi lucidità, di prima mattina, ancora a letto con gli occhi gonfi di lacrime represse e il cuore spezzato, ho pensato che forse Zayn abbia sempre avuto ragione su questa relazione, che forse siamo stati degli stupidi a credere di poter amarci. Tuttavia, una parte di me è convinta che, comunque, sarebbe stato inevitabile; ci saremmo innamorati lo stesso.

Scuoto il capo allontanando qualsiasi pensiero mi possa condurre alla pazzia, respiro profondamente e apro gli occhi ritrovando, ancora, il riflesso di quel ragazzo che proprio non riesco a riconoscere; sono il fantasma di me stesso. Sono quasi pronto, e ciò mi angoscia più di quanto voglia ammettere e, al contempo, questo rischia di creare una piccola crepa sulla maschera di indifferenza che sono obbligato ad indossare oggi. Abbasso lo sguardo guardando i polsini della camicia nera, li osservo per un tempo infinito, continuando a ripetermi che è giusto, che devo raggiungere i miei genitori al matrimonio di mia sorella. Sbuffo infastidito e, in un attimo di rabbia verso coloro che mi hanno trasformato in questa ameba, decido che, per una volta, andare contro le regole imposte da mio padre non è esattamente un male. James Evans ha dei gemelli nella cassaforte, ornati di diamanti, di cui è particolarmente geloso ed ha espressamente vietato a chiunque di prenderli. È un comportamento stupido, un dispetto infantile, eppure non ci penso due volte ad andare nella stanza dei miei genitori deciso a prendere quei gemelli. So per certo dove li nasconde e, per mia fortuna, conosco la combinazione per aprire la cassaforte. Per quanto papà fosse attento nel comporre i numeri sul tastierino elettronico, una volta, qualche anno fa, riuscii a vedere la giusta sequenza e poi, tra l'altro, conosco quell'uomo meglio di quanto lui possa credere o sapere. Così, sorridendo beffardo - immaginando cosa potrebbe dirmi se solo vedesse cosa sto per fare-, apro la cabina armadio e sposto appena il mobiletto in cui mia madre è solita custodire i gioielli. Mi abbasso all'altezza della cassaforte ormai il bella vista flettendo le ginocchia e, ancora, sorrido come un bambino pronto a combinare una marachella. Mi sento uno stupido, ad essere sincero, però il rancore è così forte e la rabbia così prorompente che la mente mi si annebbia in un attimo. Alla fine, se mi ritrovo qui, in questo preciso momento, se sono quello che sono, è anche a causa dei miei stessi genitori.

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