doce

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Il furgoncino a sette posti di Pilar si fermò poco distante dal Juan Manuel Zafra, uno dei migliori licei scientifici della città.
Con il suo sfavillante color lilla, il van era perfettamente riconoscibile fra gli altri mezzi e ogni mattina non erano pochi gli occhi puntati sulla manciata di ragazzi che comparivano dalla portiera scorrevole. Anche quel giorno, alcuni sguardi si posarono sull’eterogeneo gruppetto, senza che nessuno facesse però caso al volto nuovo che chiudeva il breve corteo.
Anita era infatti scesa per ultima e si affrettava a seguire i suoi compagni su per la breve scalinata che portava all’ingresso dell’istituto. Durante tutto il viaggio non aveva fatto altro che pensare a Pablo Gavi, alle partite del Barcellona e allo strano e inquietante sogno che aveva fatto quella notte.
Fortunatamente, Amalia, che già da qualche settimana si era dovuta abituare agli infernali corridoi di quella scuola, le afferrò saldamente il polso e cominciò a farsi largo fra la marea di studenti per raggiungere la classe alla quale le due ragazze erano state assegnate.
“Meno male che non sono sola” si rallegrò Anita tra sé.
All’interno dell’aula il clima era tranquillo. Nonostante mancassero solo pochi minuti all’inizio delle lezioni, quasi la metà dei banchi risultava ancora vuota, e la ragazza si domandò se a Barcellona esistessero gli stessi liceali precisi e puntuali che lei aveva imparato a conoscere a Saragozza.
Amalia le indicò un banco in penultima fila al quale di solito non sedeva nessuno, poi si scusò e in tre salti raggiunse le sue amiche che bighellonavano nei pressi delle finestre. Già, perché Anita era l’unica ospite di Pilar che avrebbe soggiornato a Barcellona per meno di cinquanta giorni: tutti gli altri si trovavano lì dall’inizio dell’anno scolastico e avevano avuto modo di ambientarsi e frequentare i nuovi compagni.
La ragazza sospirò e si sedette al suo posto in attesa del trillo della prima campanella, che giunse alle sue orecchie dopo un paio di minuti, assieme alla mandria di studenti ritardatari che imprecavano e si colpivano a vicenda per raggiungere i rispettivi banchi.
Nel mezzo della mischia, qualcuno urtò una delle gambe della sua sedia, ma Anita non ci fece caso finché lo spintone non si ripeté per una seconda, e infine per una terza volta. A quel punto, si voltò con espressione seccata, pronta per domandare al maleducato in questione di smettere di darle fastidio.
Invece, seduta al banco appena dietro trovò una ragazza con uno smagliante sorriso stampato in faccia, che subito le tese la mano con fare cordiale e affabile, chiedendo se fosse proprio lei la nuova studentessa che veniva da Saragozza.
“Ehm, sì, sono io. Mi chiamo Anita” rispose l’interpellata, felice che qualcuno le rivolgesse la parola.
“Piacere! Io sono Lisa e sono molto contenta che tu ti sia seduta davanti a me, così quando mi servirà un suggerimento mi basterà allungare il piede e saprai che ho bisogno di te” rise la ragazza, strizzandole l’occhio.
Anita annuì divertita e stava giusto aprendo bocca per replicare, quando nella classe calò il silenzio: l’insegnante era sulla soglia ed esigeva che al suo ingresso nemmeno un minuscolo moscerino volasse nella stanza.

Todo lo que quiero - Pablo GaviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora