veintiocho

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Anita passeggiava tranquilla per il Parc del Guinardò, uno dei suoi luoghi preferiti della città, con la quale in quelle poche settimane aveva appena avuto il tempo di familiarizzare. Nonostante amasse incondizionatamente il centro storico e gli argini del fiume della sua Saragozza, infatti, anche Barcellona la affascinava molto: alcuni quartieri erano un tale intrico di vie, sormontate da case di qualsiasi stile architettonico, che quasi non pareva possibile l'esistenza delle immense superfici verdi, adorne di viali e cascate, che invece interrompevano quella distesa apparentemente illimitata di edifici.
«Vorrei che tu fossi qui con me» erano le parole dell'ultimo messaggio inviatole da Gavi.
Anita continuava a rigirarsi il cellulare tra le mani, senza quasi far caso al paesaggio che la circondava. I suoi passi la condussero fino a un piccolo spiazzo isolato, pavimentato con un fine strato di ghiaia e circondato da cespugli di calliandra. La ragazza si sedette su una panchina, in cerca di ispirazione per rispondere a Pablo: già gli aveva spiegato che le era stato vietato di uscire di casa dopo le otto di sera, e lui si era mostrato talmente comprensivo e dolce che ora Anita desiderava non mancargli di rispetto per nessuna ragione al mondo.
Così, gli inviò una foto del panorama, alla quale però non seguì alcuna risposta. La ragazza si corrucciò, ma non diede troppo peso alla cosa, perché, oramai lo sapeva, quel calciatore aveva impegni improvvisi che spuntavano dappertutto. Smise di pensarci, ed era così stanca che si assopì, una spalla poggiata allo schienale ricurvo della panchina.
Dopo quasi un'ora, una voce fin troppo nota la risvegliò dal suo stato di dormiveglia, chiamando il suo nome. Anita aprì piano le palpebre, sbadigliando, ma appena vide chi le stava davanti fece un balzo, tornando a sedersi il più compostamente possibile.
"Come... come hai fatto a trovarmi?" domandò a Pablo, sgranando gli occhi.
"Conosco alla perfezione questo luogo" rispose il calciatore accomodandosi accanto a lei. "Da bambino ci venivo spesso, quando mi mancava Siviglia e volevo stare un po' solo... non permettevo a nessuno dei miei compagni di seguirmi."
"Oddio, davvero? Venivi esattamente qua?" si stupì la ragazza.
"Beh, il posto non era proprio questo, però il parco sì" ammise Pablo.
"Sai" cambiò subito argomento Anita. "Pensavo avessi lasciato la nostra conversazione a metà per riscrivermi domani mattina e giustificarti con una delle strane scuse che inventi di solito."
"Ma che dici?!" ribatté il calciatore. "Di solito ti riferisco la verità."
"Dovresti ridimensionarla un po', allora, questa verità, perché mi sembra che le altre persone vengano un tantino lasciate in secondo piano" commentò la ragazza. "E poi... chi lo sa, potrebbero anche stufarsi, non credi?"
"Mi prendi in giro? Oppure credi di potermi dare degli ordini?" esclamò Pablo, adirato. "Ti rendi conto? Ho sprecato un sacco del mio tempo, questo pomeriggio, per trovarti, girando in lungo e in largo questo dannato parco, e tu mi tratti così? Ma lo sai quante altre cose avrei potuto fare? Ho una carriera, se non l'avessi ancora capito, una carriera e uno stipendio. E delle persone che si impegnano per aiutarmi a rimanere concentrato, e... e tu mi distrai troppo."
Detto questo, il calciatore si alzò e si allontanò con lunghi passi. Anita provò l'impulso di seguirlo, ma si trattenne e, con le lacrime agli occhi, si guardò attorno, spaesata.

Todo lo que quiero - Pablo GaviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora