Gennaio, Napoli
Teresa
-T non ti agitare. Hanno ferito Edoardo in carcere -, questa la frase che rimbombava nelle mie orecchie da giorni ormai.
Da quando Sasà aveva chiamato Laura nel panico più totale, ed io non avevo neanche pensato un secondo a cosa fare se non comprare il primo biglietto del treno disponibile e tornare a casa da lui. La mia amica era entrata in camera come un tornado il telefono ancora in mano ed il viso pallido. Ferito aveva detto ed io non ci avevo visto più. Avevo prenotato velocemente i bagagli, loro insieme a me ed eravamo partite alla volta di Napoli. Mezza giornata di viaggio, arrivare lì in piena notte e riuscire a tornare a casa solo per lasciare la valigia e Zoe prima di farmi accompagnare in ospedale.
Tutti i pomeriggi aspettavo che il comandante arrivasse in ospedale e mi facesse entrare. I primi giorni mi guardava contrariato, il primissimo giorno non voleva farmi neanche entrare usando la scusa della madre. Dopo una settimana, però, ha finalmente capito che non avrei mollato per nessuna ragione e, nei giorni in cui non ero impegnata con il progetto all'IPM ci vedevamo sempre fuori dall'ospedale e mi accompagnava fino alla porta.
-Non capisco perché lo fai -, mi chiede anche oggi, come quasi tutti i giorni da quando hanno ferito Edoardo ed il ragazzo sembrava non volersi svegliare con niente, come se fosse troppo stanco anche solo per aprire gli occhi.
-Perché gli fa bene sentire voci amiche -, gli rispondo meccanicamente
-Viene già la sua famiglia -, ribatte lui prenotando un ascensore
-Ho detto amiche comandante -, rispondo guardandolo con un sopracciglio alzato e lui annuisce semplicemente, facendomi andare avanti dentro l'ascensore. Aveva capito che io sapevo alcune cose della famiglia di Edoardo, frasi e pensieri concessi nei momenti più intimi dei nostri incontri quando lui si spogliava completamente del personaggio duro e rimaneva solo un ragazzino di 17 anni con troppe responsabilità sulle spalle.
-Vai dai piccerè -, mi dice l'uomo sedendosi sulla sedia fuori dalla stanza d'ospedale riservata ad Edoardo su un piano tenuto sotto controllo costantemente ma soprattutto isolato
-Grazie comandante -, gli sorrido prima di aprire piano la porta e chiudermela alle spalle.
La stanza era asettica, bianca, fredda con un letto al centro ed un piccolo televisore posto in alto sul muro di fronte. Un tavolino e due poltroncine davanti al letto, una sedia dura accanto ad esso. La mia sedia come l'avevo soprannominata una settimana prima. Neanche un fiore a dare un po' di colore, a renderla più calda, a fargli sentire un po' di amore. Ricordo quando mi operai al cuore, la mia stanza piena di palloncini e fiori quasi a soffocare. Ricordo la mia famiglia sempre al mio fianco, mentre la sua non si era mai vista. Incrociavo spesso Sasà ma mai un altro membro della sua famiglia. I rapporti con il ragazzo erano un po' migliorati, aveva capito che quello che avevamo io ed Edoardo era diverso. Ma sentivo che lo proteggeva fin troppo a volte e non riuscivo a spiegarmi il perché, visto che tra i due, Edoardo era il più grande.
-Buon pomeriggio amore mio -, gli prendo una mano che non accenna a dare segni di vita e la stringo forte nella mia.
Il suo viso sembra più pallido del solito, il mio fidanzato sembra essere anche più magro del solito. Il volto scarno, la barba adesso più in vista, le mani fredde e quella fasciatura grande sul fianco sinistro che mi faceva venire i brividi. Gli sarebbe rimasta una brutta cicatrice con cui avrebbe dovuto convivere tutta la vita, dal momento in cui avesse deciso di svegliarsi. Ma lui non voleva farlo. Il comandante mi aveva raccontato che i medici gli avevano detto che l'operazione era riuscita, nonostante avesse perso molto sangue e l'avessero trovato in ritardo. Era andato tutto bene e non riuscivano a spiegarsi il perché lui non avesse aperto ancora gli occhi, era come se rifiutasse di ritornare nel mondo reale. Così io andavo ogni pomeriggio, gli raccontavo le mie giornate, gli facevo domande a cui non ricevevo risposte, aprivo le sue finestre per fare entrare un po' d'aria fresca e pulita, magari guardavo un po' di tv con lui e poi lo lasciavo poco prima dell'ora di cena. Riaccompagnata di nuovo dal comandante, che non faceva mai domande sui miei occhi rossi. Tornavo a casa, mi chiudevo in camera e piangevo. A volte mia sorella mi consolava, nonostante non sapesse, altre invece le mie migliori amiche che sapevano tutto, ma nessuno di loro sapeva realmente come mi sentissi.
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'O Mar For
Fanfic-Picceré fino ad ora agg vist'o sul o grig- Pare che gli opposti si attraggano e che c'è sempre qualcuno lì fuori pronto a salvarci. E se fosse proprio una bionda dagli occhi cielo, l'angelo di Edoardo? ATTENZIONE: linguaggio scurrile, scene semi es...