2. Bambola

373 30 16
                                    

Dopo due ore e quaranta minuti interminabili di volo Napoli-Madrid, una vera tortura psicologica per Romeo perché Emma si faceva tanto la grossa, ma aveva il terrore degli aerei e di morire mangiata dagli squali nell'oceano, erano finalmente arrivati a destinazione.

Emma e Romeo, recuperati i bagagli e la gabbietta di Dolly, arrancavano in mezzo alla folla di viaggiatori nell'aeroporto di Madrid-Barajas con trentacinque chili di valigie, due zaini in spalla e la reginetta dei porcellini d'India, la quale non era stata divorata da nessun pitone.

«Mi fa male la testa», borbottò Romeo.

«Perché hai trascorso più di due ore ad ascoltare la tua musica di merda», replicò Emma, soffiandosi un ciuffo di capelli color mogano dalla fronte.

Romeo la guardò di traverso. «Non ti sei chiesta il perché? Meglio rimbambirsi con la mia musica di merda che ascoltarti mentre ti lamenti delle turbolenze, della presenza di squali e orche assassine sotto ai nostri culi sospesi nel cielo, dei pitoni serial-killer di porcellini d'India, della puzza di ascelle, di scorreggia e delle hostess antipatiche!»

Emma lo fissò, si fece schioccare la lingua contro al palato e, successivamente, gli regalò un sorrisetto. «Okay... Ma perché ti agiti in questo modo? E non urlare perché le tue urla stressano Dolly. Deve già riprendersi da un volo dove ha rischiato di diventare l'antipasto di un pitone».

Romeo alzò il capo verso il soffitto e rilasciò un lungo, lunghissimo respiro.

Io sono stressato, non Dolly che deve aver mangiato e dormito per tutto il volo.

«Mi agito perché siamo in piedi da questa mattina alle cinque e perché ho bisogno di un cazzo di caffè, ma non siamo a Napoli quindi dovrò accontentarmi del caffè sciacquato del McDonalds!»

Emma sibilò l'aria tra i denti. «Tua nonna ti leverebbe dal testamento se potesse ascoltarti, in questo momento».

Romeo guardò la sua migliore amica. «Emma?»

Emma sorrise, sapeva già cosa stava per dirgli. «Sì, Romeo, ci vado ogni giorno a fanculo per merito tuo, è davvero un bel posto pieno di gente, ma ora devi davvero calmarti».

Romeo, il quale normalmente non era mai così nervoso ed isterico, strinse le labbra in una linea sottile e continuò a trascinare le sue valigie verso l'uscita dell'aeroporto con Emma che sogghignava al suo fianco.

Non si era pentito di essersela portata dietro, ma aveva davvero bisogno di quel caffè.

E quel viaggio della speranza non era ancora terminato perché, dopo quasi tre ore di aereo, avrebbero dovuto farsi un'altra mezz'ora di Flixbus per raggiungere il centro di Madrid e da lì continuare il viaggio con l'ausilio di Google Maps, alla ricerca dell'appartamento che avevano preso in affitto, nei pressi della Escuela Secundaria de Madrid, dove Romeo avrebbe insegnato, per la durata di quell'anno accademico, lontani dalla sua Napoli.

Emma, invece, si era semplicemente permessa di prendersi un anno sabbatico, dicendo che ne aveva bisogno perché non si fermava con il Taekwondo da quando aveva tredici anni e che si era rotta le palle di insegnare ai ragazzini come prendere a calci senza rompersi un piede o rischiare una denuncia.

Emma parlava in quel modo perché non era propriamente una principessa e aveva dei modi del tutto poco ortodossi, ma amava quello che faceva. Però, ad un certo punto della vita di ogni adulto, tutti avevano bisogno di prendersi una pausa, come Emma, o di cambiare aria, come Romeo.

Una volta posato il suo culo stanco sul sedile pieno di germi del Flixbus, Romeo si infilò nuovamente le auricolari, chiuse gli occhi, si aggiustò gli occhiali sul naso e si massaggiò una spalla indolenzita mentre sognava una tazza di caffè espresso fumante di sua nonna Maria.

Romeo&Julio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora