5. Je so' pazzo

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Julio, mentre fissava le spalle ossute di quell'italiano isterico allontanarsi da lui, facendosi inghiottire dalla folla di viaggiatori pendolari della metro di Madrid, si ritrovò a pensare alle parole che spesso sua madre, Belen Ortiz, gli aveva ripetuto nel corso degli anni, mentre lo vedeva crescere sempre di più a sua immagine e somiglianza.

«Quando ti ci metti di impegno, Julio, sei proprio uno stronzo. Non potevi ereditare difetto migliore dalla sottoscritta».

Quella piccola saccente di sua sorella Pilar, invece, gli ripeteva frequentemente con quella sua voce sottile ed irritante: «Peccato che non abbia mai potuto spedirti personalmente in un collegio svizzero. Lì ti avrebbero insegnato un po' di educazione».

Beh, Julio, sapeva di essere stronzo, ma la vista di quell'uomo dalla lingua tagliente lo faceva uscire fuori di testa.

Da quando lo aveva visto, quella prima volta sul Flixbus durante il suo viaggio di ritorno dall'aeroporto dopo aver passato un'estate in giro per l'Europa a cazzeggiare, e si erano scontrati animosamente una volta terminato il viaggio, spesso Julio si era ritrovato a pensare a quell'italiano che quando si agitava gesticolava come un pazzo e parlava una strana lingua che tutto gli pareva tranne che italiano.

Romeo l'aveva chiamata napoletano.

Julio era giunto brevemente ad una riflessione e aveva ammesso a sé stesso che irritare quell'uomo, che all'incirca doveva avere sui trent'anni, gli faceva nascere una certa sadica soddisfazione.

Raramente trovava persone interessanti con cui farsi una sana litigata.

Sì, Julio, anche se apparentemente sembrava calmo e rilassato in tutta la sua evidente sfacciataggine, adorava litigare.

Poi lo aveva rivisto sulla metro, si era dimenticato completamente della sua meta di quella mattina e aveva deciso di seguirlo e di mettergli di proposito uno sgambetto.

Sì, era stronzo. Proprio un grandissimo stronzo.

Quindi, senza pensarci due volte di troppo, si fece spazio a spallate poco delicate tra le persone che aveva davanti, guadagnandosi qualche imprecazione dietro di cui non si preoccupò minimamente, e cercò di raggiungere un Romeo indispettito che marciava come un soldato che aveva appena dato le spalle ad un suo... nemico.

Riuscì a raggiungerlo che aveva ormai superato i tornelli.

«Aspetta!» gli disse, afferrandolo per un gomito.

Romeo si girò di scatto e un paio di occhi nocciola grandi e furenti che li fissavano da dietro un paio di occhiali tondi e dalla montatura sottile lo inchiodarono sul posto.

Si liberò della mano di Julio con un movimento frustrato del braccio; due chiazze rosse, dovute al nervosismo che stava avvertendo, gli si formarono sugli zigomi spigolosi.

«Cosa diavolo vuoi ancora da me? Giuro che se continui a darmi fastidio inizio ad urlare, allertando così le guardie», lo minacciò con voce sibilante, parlando uno spagnolo alquanto fluente. Anche se Julio non si sarebbe mai complimentato.

Nella sua vita da studente era riuscito ad imparare solo l'inglese, così da poter viaggiare e riuscire a comunicare in ogni stato che avrebbe visitato. Aveva sempre fatto fatica con le lingue straniere ed era certo che per lui imparare l'italiano sarebbe stato abbastanza complicato.

Julio si mise ad osservare bene il viso di Romeo, inclinando il capo di lato.

È carino.

«Con questi occhiali tondi assomigli ad Harry Potter, te l'hanno mai detto? Ti manca solo la cicatrice sulla fronte. Anche se... con quei capelli assomiglieresti di più ad Hagrid».

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