21. Ti amo e ti penso

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«Maronn', Cesare, quando fai accussì, te faciss' 'na faccia e paccr*», sbottò Romeo, levandosi di dosso, o meglio, provando a levarsi di dosso il corpo più massiccio del suo nuovo amico romano, il quale, imperterrito, continuava a tartassarlo su Carlos, un ragazzo che, tra l'altro, Romeo conosceva poco, anzi, pochissimo.

«Eddai, Romé, dammi una mano con quel ragazzo. Sarei disposto anche a pregarti in ginocchio. Solo pregarti, eh. Perché se provassi a farti altro in ginocchio, probabilmente, Julio mi investirebbe con la sua motocicletta. E farebbe anche la retromarcia. A proposito, lo spagnolo è parecchio possessivo».

Romeo alzò gli occhi al cielo ed entrò in camera sua con Cesare che lo stava letteralmente tampinando. Era uscito da scuola e Cesare era già lì, fuori al cancello dell'istituto, ad attenderlo, saltellando sul posto, la sua tracolla da lavoro che saltellava insieme a lui.

Perché Cesare lo stava aspettando? Perché voleva che Romeo lo aiutasse a torment... No, Romeo voleva dire conquistare il proprietario del bar di fronte la scuola madrilena.

L'archeologo fissò Cesare con la coda dell'occhio mentre si sedeva davanti la sua scrivania ed accendeva il pc per controllare gli appunti per la lezione del giorno seguente.

«Cesare, Carlos mi sembra un tipo difficile mentre tu sei troppo insistente. Finirai per farlo allontanare ancora di più, se non dai una calmata al tuo entusiasmo. Fidati, ci sono passato con Julio».

«Sì, ma poi ti sei lasciato comunque ammaliare da quei bicipiti, quindi ho una speranza anche io, no? Non ho dei bei bicipiti che ammaliano?» chiese, mettendo in mostra i muscoli sotto la camicia azzurra che indossava.

Romeo alzò gli occhi al cielo per la seconda volta nel giro di pochi minuti, poi li fermò sullo schermo del pc. «Tu stai chin' e colla, stai tutt'azzeccat'», disse, cercando di dare un senso agli appunti che lui stesso aveva scritto, ma la presenza ingombrante di Cesare nella sua stanza non gli era d'aiuto. Cesare era una perfetta fonte di distrazione, anche Julio lo era, ma Romeo non era così tonto e preferiva farsi distrarre dal suo ragazzo piuttosto che da quel romano invadente.

Cesare ritornò a saltellare sul posto. Quel ragazzo era... per dirlo alla Jim Carrey: spumeggiante.
Era pieno di energia, proprio come lo era Julio e proprio come lo era Emma. Doveva essere una prerogativa degli sportivi, essere straripanti di energia. Molto probabilmente, sì, lo era per forza. Solo che Romeo non era uno sportivo, proprio per nulla. Era pigro e la prerogativa dei pigri era quella di guardare con occhio critico e giudicante tutti quelli che la mattina si alzavano alle cinque per andare a correre dopo essersi bevuti un bicchiere di acqua fredda o tiepida - o quello che era - e limone. Tutto questo prima di andare a lavoro, ovviamente. Romeo non ci teneva proprio e preferiva rimanere a mangiare le gocciole, sbriciolando sul divano, mentre guardava la TV.

«No, io non sto tutto azzeccato, Romé. Però, quel ragazzo mi piace sul serio. È un tipo... misterioso e io adoro risolvere i misteri».

«Sì, tipo Dora l'esploratrice», replicò Romeo, sghignazzando. «E al posto della scimmietta aiutante hai Dolly».

Cesare buttò fuori uno sbuffo d'aria in modo abbastanza melodrammatico. «A' Romé, e daje! Allora, ancora non l'hai capito che la vita è imprevedibile. Oggi ci stai e domani invece puoi puzzà de crisantemo. Quindi, aiutami ad entrare nelle grazie di Carlos!» esclamò, afferrando la sedia girevole dallo schienale per far ruotare Romeo e costringerlo a guardarlo negli occhi chiari. «E per grazie, ovviamente, non intendo mutande. Sono un galantuomo. Le mutande scalate arriveranno con il tempo anche se qualcosa mi dice che Carlos sia un tipo da slip e non da boxer», continuò a dire Cesare, sorridendo, furbo.

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