11. 'O mar for

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Mentre Julio era immerso nella sconfinata infinità dei suoi pensieri, i quali erano tutti indirizzati verso un certo professore di storia barra archeologo barra guida turistica barra napoletano psicopatico barra solo Dios lo sabia, si sentì arrivare uno scappellotto ben assestato dietro la nuca, proveniente da una familiare mano grossa quanto una bistecca.

«Santo Dio, Diego! Così mi romperai l'osso del collo!» esclamò Julio, massaggiandosi il collo.

«Non nominare il nome di Dio invano nella mia palestra, Julio», lo ammonì Diego, piazzandosi di fronte a lui e bloccandogli la visuale di mezza palestra perché quell'uomo era la versione colombiana e più giovane di The Rock. Incrociò le braccia spesse come tronchi al petto ed iniziò a fissare Julio con le palpebre appena abbassate e con gli occhi marroni che sembravano due cazzo di torce dell'FBI.

«Allora, saresti così gentile da comunicare al tuo capo perché sei seduto su quella panca per i piegamenti da mezz'ora e non stai svolgendo il lavoro per cui ti pago? Stai fissando il vuoto, Julio, perché non credo proprio che stai fissando le tette di quelle due ragazze in fondo alla sala attrezzi. Di solito, quello lo faccio io».

Julio sbuffò e si alzò da quella panca dove, senza rendersene conto, era stato seduto in contemplazione per parecchio tempo.

«Le tette non rientrano nelle mie preferenze e lo sai», replicò, recuperando da terra la bottiglia di bevanda energetica che si portava sempre in giro per la palestra quando lavorava.

«Lo so, per questo vorrei sapere cosa ti sta distraendo. Non sono solo il tuo capo, Julio, sono anche tuo amico».

Diego aveva trentadue anni e viveva in Spagna da sei anni, da quando aveva lasciato la Colombia e aveva appeso al chiodo la sua carriera di pugile professionista per aprirsi una palestra dall'altra parte del mondo.

Il suo capo non aveva un passato proprio roseo: la sua famiglia era povera, da adolescente era finito immischiato nel traffico di droga per guadagnare qualche soldo extra; dedicarsi al pugilato lo aveva aiutato a venirne fuori. Aveva sempre detto a Julio di non sentirne minimamente la mancanza perché quel mondo aveva iniziato ad andargli stretto, senza contare che aveva chiuso egregiamente la sua carriera con un bronzo nel pugilato alle Olimpiadi di Rio del 2016.

«Mi piace un uomo», confessò a Diego, senza fare preamboli inutili o giri di parole perché Julio non aveva mai avuto problemi a parlare di ciò che gli frullava per la testa. La sua testa era un casino e gli piaceva condividerlo con i suoi amici.

Diego inarcò le sopracciglia e il suo sguardo si riempì di sorpresa ed interesse.

Iniziò ad accarezzarsi il velo di barba scura sul mento. «Deve essere qualcuno di davvero interessante perché, da quando lavori qui, mi hai spesso reso partecipe delle tue avventure, ma non sei mai arrivato ad impensierirti in questo modo».

Julio sbuffò nuovamente e finì per risiedersi sulla panca. «Ti giuro, Diego, è la prima volta che mi piace un uomo come lui. È il professore di storia di Pilar, un italiano - anzi, napoletano - smilzo e nervoso, con la tendenza ad insultarmi nella sua lingua, ma che ha difeso mia sorella dall'ennesimo attacco da parte di Adrian e, da quanto ho capito, è più intelligente di parecchie persone che conosco solo che non lo da a vedere. E, cazzo, Diego, mi ha fottuto alla grande!».

Diego sgranò gli occhi e continuò ad accarezzarsi la barba sul mento. Stava processando ed analizzando nella sua testa tutte le informazioni che Julio gli aveva buttato addosso, senza sapere che era solo una minima parte di tutto ciò che pensava e non gli aveva nemmeno raccontato dei loro continui scontri e dell'abitudine che aveva preso Julio nel perseguitare Romeo, perché era consapevole di assumere spesso dei comportamenti da maniaco persecutore.

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