25. Nu juorno buono

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«Cosa stai facendo?» gli chiese Emma, giungendo al suono fianco.

Come ogni volta che lo obbligavano ad andare nel luogo del demonio, nella setta satanica di tutti i pigri, Romeo faceva finta di provare ad allenare le sue povere ossa da trentaquattrenne, poi, alla prima occasione buona, scappava nel suo angolino fidato e si metteva ad osservare tutti quei poveri idioti che si affannavano ad allenarsi in vista delle vacanze di Natale, così da sentirsi meno in colpa per tutto quello che avrebbero voluto mangiarsi.

Romeo non si era mai posto quei problemi. Lui, durante le festività, mangiava il quantitativo del peso corporeo di sua nonna e non se ne era mai pentito. Aveva un sano appetito che non aveva intenzione di acquietare.

Non vedeva l'ora di attaccarsi alla pizza fritta, alla lasagna, agli spaghetti con le vongole della sera della Vigilia, alle zeppole con il baccalà, poi agli struffoli, ai mostaccioli, alle noci e alle castagne.

Si passò un dito sulle labbra per assicurarsi che non stesse sbavando. Sbavando per il cibo che lo stava attendendo in Italia, non per il suo ragazzo che continuava a sudare sul tapis roulant, per quanto fosse indubbiamente una visuale divina. Sembrava di vedere Apollo che si allenava, ma Romeo aveva fame di cibo italiano e gli mancava la sua famiglia. Soprattutto, ci teneva a precisare che lui non era per nulla un mammone, ma un nonnone a tutti gli effetti.

«Sto guardando Julio che fa tapis roulant, mi sembra ovvio», replicò, lanciando un'occhiata alla sua migliore amica.

Emma aveva già completato la sua scheda di allenamenti, con Diego che continuava ad orbitarle attorno più del dovuto e la sua migliore amica che continuava a fingere di non essere interessata a quel bellissimo uomo colombiano un po' egoriferito, perché anche lei era un'orgogliosa testa di cazzo, proprio come Romeo.

«E perché non stai sbavando come al solito, ma hai questa faccia come se volessi ridere?»

A Romeo scappò una piccola risata. Aveva avuto davvero quell'espressione, prima di far virare i suoi pensieri sul cibo, che avrebbe ingurgitato dalla sera della Vigilia di Natale fino al primo dell'anno nuovo.

«Perché me lo sto immaginando con una canzone in sottofondo», rispose, abbracciandosi le ginocchia.

I suoi occhi finirono sulle scarpe da palestra blu elettrico che gli aveva regalato proprio Julio. Durante quei mesi trascorsi insieme, gli aveva regalato quelle scarpe, una borraccia da due litri ed un paio di pantaloncini sportivi. Il suo ragazzo ancora sperava che Romeo diventasse un tipo da palestra che la mattina mangiava porridge con gocce di dolcificante o polveri ambigue di proteine mischiate allo yogurt greco.

Povero fessacchiotto. Povero sarchiapone.

Romeo, una volta uscito dall'aeroporto di Napoli, sarebbe corso prima nel suo bar di fiducia, proprio sotto casa di sua nonna, per bersi tre caffè, uno dietro l'altro, fino a farsi venire la tachicardia. Poi, sarebbe andato da Ciruzzo a Spaccanapoli per comprarsi un pezzo di pizza al portafoglio con patate, mozzarella e salsiccia.

Romeo non riusciva a smettere di pensare al cibo e non lo stava facendo di certo a posta o perché gli piaceva puntualizzare che le pietanze italiane erano nettamente migliori a tutte le altre cibarie estere. Aveva bisogno di tornare un po' nella sua caotica e conturbante città, dove fin troppe cose funzionavano al contrario, ma a Romeo andava benissimo così. Era cresciuto nella giungla e ne andava fiero.

«Cioè?» chiese Emma, sedendosi a terra vicino a lui.

Romeo ritornò a ridacchiare.
«Quella di Mulan. E sarai veloce come è veloce il vento, e sarai un uomo vero senza timori...», intonò, immaginandosi anche tutte le varie percussioni nella sua mente.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 10 ⏰

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