13. Un beso en Madrid

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«Avrei dovuto immaginarlo».

«Cosa, Romeo?»

Romeo occhieggiò Julio con la coda dell'occhio mentre copriva le sue braccia possenti da mangiatore a tradimento di proteine con una giacca di pelle con tanto di colletto borchiato.

È così giovane...

«Che uno come te guidasse una motocicletta», gli rispose.

Julio sogghignò, mostrò la fossetta, fece compiere allo stomaco di Romeo una strana capriola, poi si avvicinò alla sua motocicletta nera fiammante e prese uno dei due caschi appesi al manubrio, si girò verso Romeo e glielo mise in testa.

Glielo allacciò, gli scostò i capelli dalla fronte ed allargò il sorriso.

Santo paradiso.

«Non avrai mica paura?»

Romeo si indignò. «Non sono così cagasotto, Julio».

Julio non la smetteva proprio di sorridere. Prese il secondo casco e se lo mise in testa, poi montò in sella alla moto con un movimento talmente fluido e sensuale che Romeo per un attimo strinse le gambe per paura di venire nelle mutante come quando aveva quindici anni e fantasticava sui poster di Ricky Martin che rubava dai giornali di sua sorella Carlotta.

Julio gli porse una mano. «Vuole una mano a salire in sella, princesita?»

Julio scaccio via quella mano grande e piena di vene in rilievo, assottigliò gli occhi in segno di sfida verso quel moccioso irriverente prima di poggiargli entrambe le mani sulle spalle per farsi da leva e sedersi sulla moto dietro di lui.

E non cadde a gambe all'aria, grazie a San Gennaro.

E non gli venne nemmeno nessun strappo muscolare, grazie a Maradona.

Ma Romeo sapeva, si sentiva, che l'indomani si sarebbe svegliato con l'acido lattico anche ai gomiti per via di quel pomeriggio in palestra dove aveva rischiato più volte la vita.

Julio gli afferrò entrambe le mani e gliele mise sugli addominali. Sugli. Addominali.

«Reggiti forte, princesita», gli disse e Romeo lo percepì da come arrotondò maggiormente tutte le s che quel maledetto ragazzo stava sogghignando con soddisfazione.

«Julio, santa pazienza», sospirò Romeo.

«Cosa c'è, Romeo?», gli domandò, la voce suadente.

«Mi hai messo le mani sugli addominali», constatò, stupidamente.

«Lo so», rispose Julio e li contrasse, giusto per rendere meglio l'idea.

Poi, visto che Romeo era un esemplare di puro stupido 100% napoletano, chiuse una mano a pugno e con le nocche fece toc toc contro un addominale.

«Sono di tuo gradimento?» sghignazzò Julio.

Romeo sospirò. «Preferisco astenermi dal rispondere. Ora, possiamo andare, ovunque tu voglia portarmi? Sto morendo di fame».

Ed era vero, ma voleva anche avere una scusa per dimenticarsi per un po' di quel granito che gli vibrava sotto i palmi. Molto difficile, ma posso farcela.

Julio mise in moto, ma Romeo la sentì eccome la risata allegra del ragazzo e non potè fare a meno di appoggiarsi contro la sua schiena e sorridere, mentre correvano per la città affollata di Madrid.

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