16. Daje Romé

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Quando Romeo udì il classico cigolio sinistro del suo portone di ingresso che veniva aperto, le ginocchia ossute quasi gli cedettero. Forse, aveva davvero bisogno di iniziare a fare un po' di movimento in più perché la camminata casa-metro-scuola-metro-casa non era sufficiente per evitare che le sue ossa, nel giro di un paio d'anni, diventassero artritiche come quelle di sua nonna Maria, la quale, però, aveva superato oramai gli ottant'anni e lui a trentaquattro non poteva essere accusì 'nguaiat'.

«Daje, Romé», lo incitò Cesare, positivo.

Romeo non era per niente positivo, lui era paranoico. Nonostante le sue gambe tremolanti, non riuscì a sedersi sul divano e continuò a molleggiare sul posto. Sembrava un idiota, anzi, era un idiota.

«Emma... Perché hai un ratto come animale domestico?» sentì dire da Julio perché il portone era dietro l'angolo, la casa era grande quanto una scatola di Simmental e si udiva ogni cosa. Anche un scoreggia piccola piccola quando scappava in bagno.

Grande errore. Nessuno poteva parlare male di Dolly.

Cesare sghignazzò sottovoce. Anche lui aveva sentito e nel paio d'ore che aveva trascorso nel loro appartamento aveva compreso perfettamente l'attaccamento morboso da topo-mamma che Emma aveva nei confronti del suo porcellino d'India domestico.

«Chiama Dolly nuovamente ratto e giuro che ti appendo in cima al Palazzo delle Corti di Madrid. In mutande», lo minacciò Emma, come da previsione di Romeo. «E comunque, ho un porcellino d'India solo perché una capretta sarebbe stata troppo impegnativa. Ora, raggiungi quell'altro idiota del tuo ragazzo che a breve se la farà sotto», aggiunse la sua amabile migliore amica.

Cesare continuava a ridere, tanto che per poco non cadde dal divano. Romeo gli diede un calcio contro il polpaccio e lui gli fece un sorrisone. L'archeologo sospirò perché aveva compreso quanto fosse difficile arrabbiarsi con quel ragazzo.

«Romeo», si sentì chiamare e girò di scatto il capo verso Julio.

«Romeo», ripetè il ragazzo guardandolo dritto nelle palle degli occhi, dopo aver lanciato un occhiata strana in direzione di Cesare, il quale sembrava si stesse godendo un film al cinema mentre ritornava a mangiare le sue carote.

Romeo, invece, continuava a ballare la tarantella sul posto, aprendo e chiudendo le mani dai palmi sudaticci. «Julio», riuscì a dire senza gracchiare.

«Cesare!» esclamò il suo nuovo amico, imitando una delle scene più iconiche di Ciuchino in Shrek.

Romeo sospirò, quell'appartamento stava diventando troppo affollato, come un centro per alcolisti anonimi con l'unica differenza che, uscito da quelle quattro mura, avrebbe avuto ancora più voglia di ubriacarsi, magari con la famosa sangria di Cayetano, che Belén gli aveva offerto quella sera al locale, ma che Romeo aveva gentilmente rifiutato.

«Chi sei?» chiese Julio. La sua domanda arrivò come un ringhio infastidito.

Cesare accavallò tranquillamente le lunghe gambe e sorrise, fregandosene dell'apparente aura minacciosa che il ragazzo di fronte a lui stava sprigionando. «Goku, non lo sai?» canticchiò, consapevole che Julio non avrebbe mai potuto cogliere quella citazione.

Romeo ed Emma ridacchiarono sotto ai baffi. Julio rimase muto e confuso.

Infatti, Cesare alzò gli occhi al cielo ed aggiunse: «Cesare, l'ho detto. E tu, invece, sei il famoso Julio».

Julio iniziò a dire: «Tu sei...», ma Emma decise di intervenire ed evitare una probabile rissa nel loro appartamento, acchiappando Cesare alle spalle per il colletto della polo e lo costrinse a mettersi in piedi. «Noi ci andiamo a fare una passeggiata, vero, Cesare?»

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