18. A' città 'e pulecenella

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«Ciao, ragazzi», salutò Romeo in italiano, entrando nella sua classe quella mattina.

Aveva preso l'abitudine di salutarli in italiano e puntualmente i venti adolescenti davanti a lui ricambiavano il saluto con un "Buen dìa, profe".

Non si poteva lamentare del rapporto che aveva con quei ragazzi. Nonostante i mille sbadigli all'ora che facevano spalancare le bocche della maggior parte di loro, dopo una ritrosia iniziale, Romeo aveva incominciato a capire come interagire nel migliore dei modi con i suoi alunni. Era la sua prima esperienza come professore liceale e per di più aveva avuto la brillantissima idea di allungare il suo curriculum grazie all'insegnamento trasferendosi in un Paese estero, ma si sapeva che Romeo era un pozzo inesauribile di fantastiche idee.

Romeo cacciava idee geniali dal suo cervello come un mago da quattro soldi cacciava colombe bianche dal suo cilindro.

«È particolarmente felice, profe, stamattina», commentò sarcasticamente quella piccola faccetta di ca...volo di Adrian, non appena Romeo prese posto dietro la sua cattedra.

Anche quella mattina ringraziò San Gennaro per l'assenza di colla sulla sedia. Se non aveva ancora il culo appiccicato di colla significava che stava facendo sul serio un bel lavoro. O, quantomeno, decente.

Adocchiò Adrian da sotto i suoi occhiali e rispose con professionalità mentre cacciava dalla borsa il suo pc. Non poteva dire al ragazzo che era felice ed aveva un sorriso che gli spaccava la faccia in due perché era stato scopato per bene dal migliore amico di suo fratello.

Insomma, non sarebbe stato molto professionale.

Quindi si limitò a dire: «Per una volta mi sono svegliato dal lato giusto del letto, Adrian. Dovresti provare anche tu questa esperienza visto che sei sempre così imbronciato».

Adrian, nonostante il commento ironico del suo professore di storia e nonostante le risatine provenienti da un paio di compagni di classe, continuò a sogghignare sotto al ciuffo dei suoi capelli arruffati, incrociò le braccia ed inarcò anche un sopracciglio come a volergli dire: "Lo so che ha scopato con Julio, profe".

Probabilmente, avrebbe avuto la conferma da suo fratello perché Romeo aveva già capito che Julio e Carlos erano proprio come lui ed Emma: si raccontavano anche quante volte al giorno andavano in bagno e se uno di loro, improvvisamente, fosse diventato stitico.

Incominciò la sua divertentissima lezione di storia seguendo il programma, ma decise di terminare venti minuti prima del cambio dell'ora perché aveva un compito di gruppo da proporre ai suoi alunni.

«Bene, ragazzi. Voi sapete qual è il mio Paese di provenienza, giusto?»

Quasi tutti i ragazzi annuirono con facce confuse, poi giunse Adrian, il suo carinissimo Adrian che rispose: «Dalla Francia, giusto?»

Romeo socchiuse gli occhi e si portò una mano al petto. «Non dirlo mai più, ragazzino», replicò con voce addolorata.

Adrian, perché era proprio una faccetta di ca...volo, ritornò a ghignare solo come un lupo poteva fare davanti ad un gregge di pecore da sbranare. Quel ragazzo aveva sempre un'aura losca che lo avvolgeva.

«Io arrivo d'a città 'e Pulecenella», parlò Romeo, utilizzando appositamente il napoletano.

Un coro confuso di "¿Como?'' riempì l'aula e Romeo rise. Dopo aver collegato il computer alla lavagna multimediale fece partire una sequenza di immagini che illustravano la bellezza della sua città, spesso troppo abbandonata o dimenticata o sottovalutata, ad un gruppo di ragazzini spagnoli.

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