12. Non riattaccare

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«Voglio andare a casa».

Emma, che correva sul tapis roulant accanto al suo, compiendo grosse falcate e sudando il minimo indispensabile, lanciò un'occhiata di traverso a Romeo, il quale passeggiava sul tappeto rotante perché non aveva la benché minima voglia di correre, di sudare e di dover rinunciare ad entrambi i polmoni. Senza contare che le sue povere ginocchia da settantenne artritico non avrebbero retto un ritmo più veloce.

«Sembri uno dei tuoi studenti con la media del quattro davanti la scuola».

Romeo sbuffò, sentendo la maglietta iniziare ad inumidirsi sotto le ascelle. Doveva essere solo l'aria della palestra a farlo sudare. «Giuro su Dio, Emma, che ti costringerò a passare tutta la giornata di domenica al Museo del Prado qui a Madrid. Dovrai soffrire nel mio habitat come io sto soffrendo in questo momento nel tuo. Questo luogo puzza come avrebbero dovuto puzzare le Terme Stabiane nell'80 a.C.»

«Non ti sembra di esagerare?»

Romeo sembrava posseduto quando esclamò. «No!»

«Romeo, possiamo parlare?»

«No!» urlò nuovamente Romeo, voltando il capo verso Julio, che si era posizionato proprio davanti al suo tapis roulant, il quale continuava a muoversi a passo di tartaruga centenaria.

Julio sgranò prima gli occhi, poi sghignazzò. «Sei più agitato del solito», gli fece notare.

«Ma dai? Vorrei vedere te in un posto che odi come ti comporteresti. Io sono un topo da biblioteca e questo posto puzza!» esclamò, agitando una singola mano, l'altra la teneva ben salda attorno a quel coso, boh, manico del tapis roulant, per evitare di rotolare all'indietro.

Julio posizionò le sue grandi mani sul tapis roulant proprio dove si trovava il piccolo schermo con mille pulsanti diversi e che contava i chilometri, le calorie e le parolacce di Romeo. L'archeologo, dunque, preferì concentrarsi sulle vene in rilievo delle grandi mani del personal trainer per evitare di fissargli il petto.

Non poteva indossare una maglietta meno aderente?

Cazzo, ora mi sto immaginando quelle mani su di me.

Oh, mio Dio, Romeo ebbe una rivelazione, una lampadina al neon gli si accese sopra la testa. Sono represso!

Doveva andarsene via da lì.

«Stai bene senza occhiali, i tuoi occhi sembrano più grandi».

Romeo si portò l'indice sul ponte del naso, a disagio, come se avesse voluto aggiustarsi gli occhiali, occhiali che non aveva.

«Non mi piacciono molto le lenti a contatto, quando le porto per tanto tempo gli occhi mi diventano due prugne secche. Ma ho preferito evitare di indossare gli occhiali».

«Perché?» gli chiese Julio, sembrando davvero interessato ai suoi occhi da talpa, prossimi alla cataratte.

Romeo sbirciò Julio, sorrideva con la fossetta in bella mostra.

San Gennaro mio.

«Perché ho la stessa coordinazione nelle gambe di un cucciolo di giraffa che deve imparare a camminare. Ho voluto evitare di guadagnarci un paio di occhiali rotti», gli spiegò, Julio continuava a scrutarlo con interesse.

Romeo avvertì le sue guance prendere calore ed iniziò a sentirsi molto a disagio. Le sue ginocchia artritiche tremolarono.

«Bene, vado ad allenare gli arti superiori!» esclamò di colpo Emma, scendendo agilmente dal tapis roulant e sorridendo a Romeo come se lei sapesse molto sulla vita e il suo migliore amico proprio un cazzo.

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