9. Ma si vene stasera

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Chiunque avesse visto quella scena, avrebbe pensato che Romeo era un grandissimo strambo, assecondato dalla sua migliore amica stramba in egual misura.

Si trovava lì, finalmente al sicuro nel suo piccolo appartamento nella periferia di Madrid, disteso sull'altrettanto piccolo divano, talmente piccolo che non riusciva a contenere tutti gli scarsi centosettantacinque centimetri di altezza di Romeo, difatti i piedi scalzi gli penzolavano oltre un bracciolo; seduta sulla poltrona alla sua sinistra si trovava Emma, sulle sue gambe c'era Dolly che a tratti dormicchiava ed ad altri muoveva il musetto mentre osservava la sua padrona e, probabilmente, meditava sul fatto che in sorte gliene era capitata una affettuosa, ma molto stramba.

Emma stringeva tra le mani un blocchetto e una matita, aveva indossato gli occhiali che solitamente usava quando guardava la TV o era davanti al pc e guardava Romeo come avrebbe dovuto fare una psicologa.

Solo che Emma non era una psicologa, era una campionessa di taekwondo con l'inclinazione a dare consigli che lei stessa non avrebbe mai seguito.

«Dunque, Signor Luongo, cosa le va di raccontarmi quest'oggi?»

Romeo intrecciò le dita sullo stomaco, sospirò profondamente mentre fissava il soffitto. «È stata una giornata molto lunga».

«Le giornate sono composte sempre dallo stesso numero di ore, se lei dice che è stata lunga è dipeso da un fattore puramente psicologico. Cosa è successo di così serio da farle avere questa impressione?»

Romeo lanciò un'occhiata di traverso ad Emma, la quale sogghignava, mentre carezzava con un dito la testa marroncina e cicciotta di Dolly.

«Ti stai divertendo ad impersonare i panni di una psicologa incallita?» le chiese Romeo, borbottando.

Emma annuì. «Particolarmente. Ora, mi racconti quale evento tragico l'ha travolta quest'oggi».

Quali eventi, semmai. Sarebbe più giusto utilizzare il plurale. A Romeo non gliene succedeva mai solo una al giorno. Romeo era destinato a doverne affrontare almeno due o tre, se non di più, perché era sfigato nell'anima e al posto del sangue gli circolavano nelle vene ansia, paranoia, sfortuna e fin troppa caffeina.

Era sempre più strano, arrivato a quel punto della sua vita e considerato tutto quello che gli capitava, che avesse un solo capello bianco.

Romeo sbuffò, si aggiustò gli occhiali sul naso e ritornò a fissare il soffitto con le mani intrecciate sullo stomaco. Aprì bocca e trascorse i successivi venti minuti a raccontare alla sua migliore amica e psicologa tutta la lunga ed impegnativa giornata che aveva trascorso da quella mattina, quando si era scontrato con Julio nel bar di fronte la scuola, allo spiacevole atto di bullismo a cui aveva dovuto assistere, alla scoperta che la ragazzina presa di mira da Adrian era, manco a farlo a posta, la sorella minore di Julio, fino a ciò che era accaduto davanti l'entrata della metropolitana sempre con Julio. Ultimamente, tutto girava attorno a lui. Le raccontò, poi, dell'invito a cena e dell'ennesima discussione avvenuta tra di loro e che Julio avrebbe continuato a chiedergli di uscire fin quando Romeo non avrebbe accettato.

Quando Romeo terminò la sua lunga filippica confusionaria e piena di gesti nervosi delle mani per enfatizzare il tutto, si ritrovò con un leggero fiatone e la gola secca.

Lanciò un'altra occhiata ad Emma e la trovò a scribacchiare sul blocchetto.

«Cosa stai scrivendo?» domandò ad Emma versione psicologa.

Emma annuì solamente, ma non gli rispose, sussurrò qualcosa tra sé e sé, confermando a Romeo l'assenza di qualche rotella nella sua testa, poi grattò il capo di Dolly e guardò Romeo.

Romeo&Julio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora