Il libro, depositato sul tavolo, davanti ad una fumante tazza di caffellatte, prova ad attirare l'attenzione di Jacopo che, concentrato su frasi sparse, non è capace di tirare le fila di quel discorso sviluppato su due pagine bianche, riempite di estese linee rimpinzate di parole.
Raccontarsi significa raccontare ad un altro che ascolta, con cui si forma una trama comunicativa di affetti ed emozioni.
Raccontare, talvolta, aiuta a vivere, perché consente di utilizzare la propria esperienza che viene rielaborata nell'atto di trasmettere una parte di sé agli altri e, così facendo, di soddisfare il proprio bisogno di condivisione, di appartenenza, di relazionalità.
Fare autobiografia insegna a non avere paura della solitudine, a cercarla di più, a intravedere con coraggio la solitudine degli anni a venire, che metteranno alla prova la capacità di vivere l'ultimo atto, minuto dopo minuto, con la saggezza antica di chi vuole invecchiare bene.
Sussiste un'innegabile nostalgia nell'atto di ricordare, si tratta di abbandonare ogni rimpianto nei confronti del proprio passato, affrontare il rischio di trasformarlo, rimettendolo in comunicazione con il presente e il futuro.
Di riflesso, la cura consiste nell'accompagnare l'individuo ad abitare in maniera meno dolorosa il proprio racconto, in modo che esso venga reso più adeguato a sé.
Benché il racconto sia una via privilegiata per un ritorno a sé da parte del soggetto, ciò non sarebbe possibile senza la mediazione dell'altro.
La cura di sé è l'esercizio permanente del dialogo con sé stesso e dello sviluppo, della crescita delle proprie possibilità.
La memoria si presenta come il terreno privilegiato all'interno del quale la dimensione comunitaria e quella inconscia dialogano incessantemente.
Gli viene spontaneo gettare il libro a terra, evitando - per fortuna - la bevanda ancora calda, mettendosi poi le mani tra i capelli. Respira, deve calmarsi, lo sa.
Forse ha ancora la mente ferma alla domenica scorsa e alla discussione avvenuta con Simone, lo stesso che, ancora, non aveva chiamato per scusarsi del suo atteggiamento forse infantile quando l'altro aveva il solo scopo di aiutarlo, per l'ennesima volta, cercando di raddrizzare la mira delle sue azioni.
È naturale quel che accade dopo, nemmeno ci pensa troppo sul da farsi, tanto è abituato a ricevere quel conforto, in determinati momenti. Momenti che, nell'ultimo periodo, si stanno presentando più del dovuto all'interno delle sue giornate, momenti che non gli lasciano la giusta libertà di pensare o respirare poiché tendono ad occupare fino all'ultimo briciolo della mente che, vuota, si trova a dover riempire con qualcosa.
Il viaggio che compie è breve, brevissimo, infatti si limita ad uscire dal proprio abitacolo, fare qualche metro sul pianerottolo, per poi suonare al campanello segnato a nome Di Salvo.
Forse non dovrebbe scocciarlo ancora, lo sa, tuttavia sente che, nessuno, - stavolta nemmeno Simone - possa ascoltarlo, annullando qualsiasi giudizio, così da scendere a patti con la sua realtà.
Ed è quando suona il campanello che si pente vivamente di aver agito così, soprattutto perché chi si trova davanti agli occhi è l'ultima persona che si sarebbe aspettato. «Simone?» forse balbetta, nemmeno se ne rende conto tanta è l'ansia che si è fatta sovrana del suo corpo.
«Japo.» Futura, correndo su quelle gambette corte e paffute, raggiunge Jacopo, alzando poi le braccia per essere presa in braccio. Richiesta che, tacitamente, viene accontentata poiché la bambina, in pochi attimi, si ritrova nella morsa del suo quasi babysitter-zio.
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Nemesi | Jacopo
FanfictionAvere una nemesi significa avere un nemico superlativo, (quasi) imbattibile e esclusivo. Personificazione della giustizia, in quanto garante di misura e di equilibrio e come tale divinizzata nell'antichità classica; modernamente intesa come fatale p...