La cicatrice

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Jacopo gliel'aveva assicurato che pe' nessuna ragione al mondo si sarebbe addormentato in così poche ore di volo. Invece si sbagliava e di gran lunga anche, tant'è che erano trenta minuti buoni che Morfeo l'aveva accolto tra le sue braccia.

Lei non si capacitava di come – in così poco tempo – la sua vita fosse cambiata radicalmente, portando tra le sue giornate un vento nuovo che – a modo suo – stava riuscendo a sradicare lo scudo che si era cucita addosso.

«Ma si è fatta male? Un po', ma poi passa. Ma gli esce il sangue dal ginocchio.» recitava la sua serie tv preferita «Un pochino, ma il giorno dopo già si sta facendo la cicatrice. Alice ma la cicatrice quando passa? La cicatrice non passa: è come una medaglia che nessuno ti può portare via.» e lei ci si ritrovava in quelle parole, le sentiva nascere in sé fino ad arrivare nel punto dove aveva quella grande ferita che, anche dopo anni, non voleva rinsavire. Si sentiva rotta un po' ovunque, quindi non aveva idea di come sarebbe potuta guarire – forse mai, magari nemmeno lo voleva.

Quindi la teneva stretta quella medaglia, avviluppata al suo corpo fino a farla diventare parte di sé. Non esisteva più solo Inès, da anni coesisteva con la medaglia e nessuno sembrava in grado di levargliela.

Si stringe nelle spalle e – inevitabilmente – lo sguardo le cade su Jacopo, così tranquillo e beato a godersi la vita nel modo più semplice. Poi continua ad osservarlo e, facendo attenzione, la scorge pure in lui quella grande – pesante – cicatrice che si porta addietro dalla più tenera età. Ora li comprendeva i suoi atteggiamenti da menefreghista o la paura di legarsi: l'amore l'aveva fregato una volta, non voleva accadesse una seconda volta. Però di lei si era fidato – chissà con quanta fatica – quindi non poteva più mettere in discussione la sua buona fede.

Dal canto suo avrebbe significato tanto, giacché di relazioni non ne aveva mai avute, così come un amore che non fosse quello della famiglia o della sua migliore amica. Diceva non le interessasse, ma non era così – usava le parole come protezione dalla realtà dei fatti, dalla diversità che sentiva addosso rispetto alle ragazze della sua età.

Indietro, una bambina, forse anche un po' ridicola – ecco come si vedeva accanto a loro e ora che qualcuno stava provando genuino interesse nei suoi confronti, lei rischiava di rovinare tutto pur di non far rimarginare la cicatrice.

Quanto sei stupida – si ripeteva costantemente – sei la prima che si atterrisce con le proprie mani, cretina.

L'aereo prende un altro po' di quota e, a causa del piccolo sbalzo che subisce l'abitacolo, Jacopo muove il capo, facendolo poi capitolare sulla spalla di Inès. Sobbalza un poco – non aspettandosi quel gesto – tuttavia non si muove per paura di svegliarlo.

Gli nota un neo sulla guancia e, mentalmente, ammette che gli doni davvero molto. Sposta lo sguardo un po' più in alto e-incrocia il suo sguardo, Jacopo è sveglio e l'ha osservata mentre lo squadrava? Strizza gli occhi un paio di volte, forse incredula.

«So' bello mentre dormo?» solleva il capo, sistemandosi meglio sul sedile «Mica m'offendo se me dici de sì, eh.» continua ancora, riuscendo a rubarle un sorriso «Jacopo Modestia Balestra – annuisce – un caso irrecuperabile di egocentrismo concentrato.» afferma allora.

«Prendo la mancanza di risposta come sì.» fa spallucce, poi allunga lo sguardo sul tablet appoggiato sul tavolino lì presente «Pur'io ho visto 'sta serie, è bella 'na cifra.» il frame di strappare lungo i bordi è fermo alla scena della cicatrice quindi Inès opta per bloccare lo schermo: pensa che potrebbe cadere in una valle di lacrime a vedere quello spezzone con gli occhi di Jacopo puntati su di sé, a scalfire la sua vulnerabilità.

«È molto bella, s-» la frase muore sotto la voce dell'hostess che, posta dietro ad un carrellino, si avvicina ai loro sedili per sentire se volessero qualcosa da mangiare o da bere «Buonasera – sorride cordiale – desiderate qualcosa?» Inès rimane impassibile, non sapendo se rispondere di sì – sentendosi in colpa – o borbottando un no, risultando la solita acida agli occhi altrui.

Quindi, senza rendersene contro, interviene Jacopo e «Due thé caldi al limone e – cerca il consenso altrui – un pacchetto di biscotti?!» lei annuisce lievemente, grata, per poi allungare la mano e prendere la sua bevanda.

«L'ho fatto solo pe' vedere se è mejo questo o quello de Cinzia.» riesce a smorzare la situazione «Non dirglielo mai che hai insinuato una cosa del genere, eh, potrebbe tipo toglierti il saluto. Tiene molto alla sua biblioteca e al sacrosanto thé della macchinetta-» prende un sorso dal bicchiere «-comunque non è male questo. I-i biscotti come sono?» nota che lui ha ne ha già fatto fuori uno.

«Nun sanno de niente.» forse un po' mente, ma non sa come comportarsi dopo che, forse, qualcosa è riuscito a capire, unendo molti puntini. Pensa di aver trovato il minimo comune multiplo di tutte le situazioni che la mettevano a disagio.

Allunga la mano libera – con un po' di timore – per poi afferrare un biscotto tra le dita. Il sangue sul ginocchio torna e la ferita arresta ancora il passaggio di cura. Ne prende un piccolo morso e lascia il resto nel tovagliolo – era lei stessa la ferita, sì.

Nemesi | JacopoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora