14: Canto di sangue

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Tw: violenza,
sangue, morte
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La battaglia aveva infuriato per delle ore e il numero delle perdite fra i saraceni era stato innumerevole: della forza che si stava radunando e che erano stati mandati ad intercettare non era rimasto che niente, solo manciate di uomini che s'eran dispersi sopravvivendo al loro assalto.
La sua strategia di attaccarli con una tenaglia a cuneo per poi abbandonare il campo e lasciare prima agli arcieri e poi ai fanti il compito di occuparsi di chi era ancora in piedi in mezzo alla confusione s'era rivelata vincente così come s'era rivelata vincente l'idea di attaccare appena sorto il sole, costringendo gli uomini a destarsi e prepararsi prima del tempo.

Era così riuscito a portare a casa un duplice risultato: da un lato aveva soddisfatto l'Imperatore, dacché i sopravvissuti non erano una gran forza neppure riaggregandosi e sarebbe stato facile anche per un gruppo di contadini armati di forcone eliminarli, dall'altro le perdite erano state assai contenute ed il numero di feriti neppure troppo elevato, cosa che gli rallegrava il cuore.

Fatto ancora più bello, l'opra alla fine non aveva richiesto così tanto tempo per realizzarsi e questo gli permetteva di evitare di dover sostare troppo tempo lontano da Oria e non lasciarla in balia di Albedo e del suo fervore purificatore. La marcia, comunque, aveva subito un piccolo ritardo a causa di un'inattesa pioggia che aveva infangato le strade e così, sebbene non mancassero che meno di due ore di cammino da Oria e già se ne potesse avvistare ben più del profilo in lontananza, alla fine aveva optato per inviare una staffetta che annunciasse il loro ritorno per l'indomani, sostando in una rada abbastanza ampia per ospitarli tutti quanti e dove poter sistemare feriti e moribondi in prossimità di fuochi improvvisati visto che la temperatura incominciava a precipitare.

E proprio verso uno di quei fuochi era diretto, al bivacco improvvisato attorno al quale Matteo, Aureliano, Giulio e Pin s'erano raccolti per scaldarsi, desiderando condivider con loro quel che Simone e gli altri responsabili del vettovagliamento avevan riportato loro. Fu in quel momento che, voltando lo sguardo, s'accorse che anche Simone aveva avuto la medesima idea e che, da un'altra parte, stava veleggiando verso il fuoco.

Viaggiava alla sua maniera, librandosi nell'aria piuttosto che camminando secondo i suoi occhi, una figura snella e candida che scintillava dei raggi del sole morente perché, come lui ed in ottemperanza alla sua passata strigliata, non s'era ancora separato dalla cotta di ferro che gli avea regalato per quei frangenti e che irradiava attorno a sé una venerabile aura di serenità, quasi che la natura attorno a lui fosse felice di vederlo e facesse in modo di abbellirsi per il suo passaggio nonostante la minaccia che quell'arco e quella faretra rappresentavano per tutti.
La gola gli si seccò e un sospiro più forte degli altri gli venne strappato nel mentre che lo rimirava come si poteva rimirare il tramonto sul lago cui era così tanto legato e presto, forse addirittura troppo presto per i suoi canoni, una sensazione nota prese possesso di lui, una che lo riempì di calore e gli fece percepire le guance divenir rosse nonostante fino a qualche settimana prima mai si sarebbe arrischiato a formulare simili pensieri, troppo vinto dal peso delle sue paure per osar farlo.

Ma Simone lo aveva liberato anche di quella paura.

Con la sua semplice esistenza gli aveva mostrato che non c'era niente di sbagliato nell'amare qualcuno come noi stessi e che il mondo, pur non anelando a niente più che giudicare quel che è diverso, poteva anche finire dentro ad un paio di braccia forti e candide capaci di chiudersi su di te e regalarti l'innata sensazione d'esser a casa pure se quel posto da chiamare casa tu non l'avevi mai posseduto per davvero.

Per lustri e lustri s'era affannato, per cicli ininterrotti di anni s'era torturato per essere il migliore, per essere come suo padre e il mondo lo volevano, un cavaliere d'onore che il mondo avrebbe ricordato per le sue eroiche gesta e un uomo della cui conoscenza non ci si poteva né doveva vergognare, finanche facendosi del male pur di fare ciò che potesse adempiere il destino che altri avevano scelto per lui. Adesso però tutto quel tempo s'era rivelato essere un inutile spreco, un dispendio d'energie assolutamente futile visto che della perfezione, dei posteri e di tutto quanto non gli interessava più nulla, non se tutto quello esigeva come prezzo un ragazzo dolce come le acque che lo avevano portato in fasce e forte come i boschi dai quali proveniva, uno dalle mani lisce come seta ed occhi attraverso cui parevan dipanarsi gli insondabili misteri con cui Dio stesso aveva dipinto il firmamento.

La ballata del cigno e dello scorpione Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora