19. Abaddon

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Piccola premessa:

Manuel e Simone sono cristiani
dell'Alto Medioevo e, essendo
una ff storica che cerca di
attenersi quanto più può
alla realtà, parlano e pensano
come uomini del loro tempo.

Ogni espressione inerente
la tematica religiosa è da
leggersi come contesto storico
e non vuole essere offensiva
Grazie

TW: violenza,
sangue, morte
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Fallimento.

Era stato questo l'esito del suo inutile tentativo di preservare quante più vite possibili dalla sciagura di quella battaglia perfettamente evitabile. Con le migliori intenzioni aveva adunato la sua armata e l'aveva condotta nei boschi, disponendo i suoi uomini nella miglior posizione possibile prima di prender con sé Matteo ed Aureliano e cavalcar a spron battuto verso gli infedeli, brandendo il vessillo candido che intendeva indicare che minaccia non fosse quella di quei tre cavalieri armati.

Ma quando aveva incontrato il capo di quell'orda d'infami e aveva chiarito le intenzioni sue questi gli aveva riso in faccia, dichiarando che il compito del profeta e la volontà di quell'essere dal nome ridicolo che veneravano non si poteva arrestare per il capriccio eroico di un ragazzino, e lo avevano rispedito indietro con tanto di dardi di scherno in saluto.

Era stato a quel punto che aveva capito di non aver scelta, che se quegli infedeli volevan la guerra allora guerra sarebbe stata, ed era così tornato indietro ed istruito la truppa preparandosi allo scontro e pregando il Dio che su tutti loro vegliava di assisterlo ancora, che aveva fatto una promessa la notte prima e la intendeva rispettare.

I corni eran suonati, le bestie eran fuggite e l'azione era iniziata col minimo preavviso per le forze saracene, più numerose di quanto atteso certo ma anche totalmente disorganizzate in vista di una carica che certo non l'attendevano così d'appresso.

Il vento era sfrecciato attorno al suo viso e all'elmo crestato mentre incitava Nigero al galoppo e l'urto d'impatto era rintronato per la selva tutta quando lo scontro era avvenuto, travolgendo uomini di guardia e gettando per aria armi e volontà, generando lo scompiglio e quel groviglio di corpi e membra che veniva comunemente chiamato mischia.

Da destra, da sinistra, da dietro e da davanti i suoi soldati avevano attaccato, chiudendo in una sacca i saraceni e prendendo a farne strage, infliggendo perdite che sarebbero state ingenti se lo numero loro non fosse stato sì enorme, ma passo dopo passo lo stendardo con le stelle e lo scorpione si faceva avanti, macinando terreno e seguito a ruota dagli altri vessilli dei nobili o dei cavalieri che lo avevano seguito.

Levò la spada e la calò, menando fendenti che spaccavano armature e mietevano vite e sangue ad ogni falciata, Nigero che correva da un lato all'altro della foresta senza temere le punte accuminate delle lance o la pioggia di dardi che pur piovevano su di loro. E come avanzava lui avanzava il suo cavaliere, aprendosi la strada fra le difese nemiche con un colpo o con l'altro fra le grida e la cacofonia della battaglia.

Si contorse e parò il maldestro tentativo di una lancia di disarcionarlo, dopodiché levò lo scudo per fermare lo schianto di un'alabarda diretto contro di lui, dando poi di speroni per allontanarsi dal doppio pericolo e ricaricarsi per poi tornare indietro e finire e l'uno e l'altro avversario dentro ad una spessa nube di polvere. Attaccò ancora, con metodica precisione, recidendo una mano a qualcuno e poi salvando uno dei suoi dalla spada di un saraceno cui spiccò la testa dal collo con un colpo potente, e proseguì dritto davanti a sé, mulinando la lama ormai lorda di sangue a ferire, uccidere e mutilare fino a lasciarsi alle spalle un sentiero di cadaveri malconci che solo dopo aver conquistato la cima di un dislivello si fermò, assestando un breve colpetto per far voltare l'animale e osservare la scena sotto di sé.

La ballata del cigno e dello scorpione Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora