8: Ebbri d'amore

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Il ritorno ad Oria l'indomani mattina fu salutato col giubilo della folla accorsa ai bordi delle strade per celebrare i suoi eroi o per apprendere i nomi di coloro che non erano riusciti a tornare, caduti per difendere la Fede e la terra e disposti con la maggior dignità possibile sui carri che chiudevano il loro solenne corteo.

Poiché l'esercito aveva sostato a valle per la notte, gli oritani avevano avuto tutto il tempo per prepararsi a quell'evento e non si eran fatti cogliere impreparati, cosa che adesso spiegava perché il loro incedere per le vie della cittadina fosse accolto da migliaia di petali di fiori che gli lanciavano addosso, oltre che da una disposizione quasi architettonica che permetteva a tutti di vedere ma anche di celebrare i prodi cristiani di ritorno, prodi cristiani fra cui paradossalmente si annoverava anche lui: con Manuel come assoluto protagonista, infatti, tutto il suo gruppo di uomini acquisiva il diritto di accompagnarlo nel trionfo e così eccolo lì, a camminare a testa alta e con l'arco ben serrato in mano, aprendo loro la fila per stare il più lontano possibile da quelle creature a quattro zampe che lo atterrivano perfino più della possibilità di vedersi una lama nel petto.

Avanzavano lenti per le vie di Oria, seguendo un passo volutamente lento che Manuel aveva imposto loro mentre si crogiolava nel calore di quel pubblico festante, sventolando di tanto in tanto la lama ricurva che era il suo premio per aver sconfitto il capo dei mori in battaglia, ogni nuova esposizione che produceva nuove ovazioni e applausi.

«Per esser uno che non amava il favore della gente se la sta godendo parecchio» commentò a mezza voce, convinto malamente del fatto che nessuno lo avrebbe potuto udire.

«Non giudicarlo troppo in fretta, franco» gli giunse indietro la voce di Giulio, chissà quando giunto al suo fianco «Ser Ferro può spesso apparire un po' strano nei modi e ipocrita nella divergenza fra ciò che dice e ciò che fa ma non lo è in realtà. Se lo conoscessi come lo conosco io non lo considereresti strano».

«Non pretendo di avere la conoscenza di lui che hai tu, Giulio» gli replicò in maniera anche troppo acida, torcendo il collo per vedere il biondino dietro di lui «Ma ieri sera mi ha detto l'esatto contrario di ciò che sta facendo adesso. E non è la prima volta che si porta così».

«Imparerai, se vivremo tutti abbastanza lungo, che noi tutti ci relazioniamo con due menti che coabitano in un sol corpo» gli sorrise di nuovo l'attendente, indicandogli che dovevano svoltare.

«Che cosa intendi dire?» lo interrogò, aggrottando la fronte «In che senso "due menti in un sol corpo"?».

«Nel senso che esiste Ser Ferro, l'eroe, il ragazzino prodigio che brucia le tappe, il cavaliere indomito e cortese che spezza i cuori delle donne cui non concede il piacere della sua compagnia e che viene rimpianto da tutte le altre che invece lo trovano ben disposto» spiegò il ragazzo, facendogli gorgogliare i lombi con l'ultima allusione «E poi esiste semplicemente Manuel Ferro, un giovane nobile dal cor gentile che avrebbe voluto essere tutt'altro che l'effige della propria stirpe e che, te lo assicuro, avrebbe di gran lunga prediletto dilettarsi in ciò che per davvero lo rende felice che non è menare fendenti e tranciar ossa né ricevere l'osanna del popolo. Ma esistono catene alle quali si è vincolati e non ci si può sottrarre».

«Ma perché non si ribella se è così?» chiese «Non mi pare proprio il tipo che si frena per paura. Insomma, si è gettato in mezzo alla mischia senza uno scudo, non credo gli difetti il coraggio di non voler apparire come non è».

«Perché esistono paure e paure, Simone. E alcune paure sono semplicemente troppo pesanti anche per chi ha spalle grandi come le sue» dichiarò lo scudiero «E anche perché non gli hanno insegnato mai a mostrare la parte più fragile di sé stesso, semmai il contrario. Lui ha trovato questo espediente per conciliare le due cose».

La ballata del cigno e dello scorpione Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora