2: Vino e ferro

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TW: violenza,
morte
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La sua nuova avventura era cominciata col piede giusto si poteva dire, trascorsa con la pancia piena e al tepore di una tenda abbastanza grande da ospitare una dozzina di soldati e che, invece, avevano diviso in due.

Vincere la scommessa con ser Manuel Ferro era stato facile per lui, del resto era abituato a cacciare gli scoiattoli che fuggivano fra i rami, un bersaglio grande come una sprovveduta anatra in volo era un gioco da ragazzi. Più difficile era stato prender sonno col cavaliere nella stessa tenda perché, anche se il suo cuore apparteneva e sarebbe sempre appartenuto al ricordo di Uberto, Dio gli aveva comunque lasciato la facoltà di vedere e ciò che vide fu sufficiente a smuovere la sua lussuria più di quanto non gli accadesse da tanto, perché la schiena muscolosa del cavaliere e le braccia scolpite da anni e anni di spada si offrirono davanti a i suoi occhi con incredibile semplicità quando dismise gli abiti e si sfilò la tunica biancastra per potersi coricare, augurandogli buon riposo prima di soffiare sulla candela e dargli le spalle per addormentarsi nella branda prossima alla sua.

Per tutta la notte si era girato e rigirato nel letto Simone, cercando di distrarsi e non pensare a quel corpo giovane e forte che gli dormiva a fianco nel buio e solo alla fine era quest'ultimo riuscito ad avere la meglio sui suoi ardori, non prima però che una vergognosa debolezza lo portasse ad alzarsi e fare il periplo della branda per vedere se gli riusciva di vedere qualcos'altro oltre la coperta di pelle d'orso che lo copriva, impresa che però non gli consentì di osservare altro in più oltre alla piega naturale di un pettorale e di un bicipite molto grosso, segno evidente che il ragazzo non era né tutto romano né tutto longobardo ma, a differenza sua che era un franco in tutto e per tutto, possedeva i caratteri di ambo i popoli e ciò si rifletteva in una struttura fisica che era tanto alta quanto larga.

Era sgattaiolato a letto di corsa subito dopo e si era poi addormentato, dormendo fino a quando un paio di mani forti non lo vennero a riscuotere e lo riportano nel mondo reale dove ci si attendeva che lui se ne andasse per permettere poi all scudiero di vestirlo. Ad essere del tutto onesti il cavaliere gli aveva domandato se per caso non volesse godersi un'ultima colazione degna di nota prima di tornare nella calca degli altri soldati in avanzata ma lui aveva preferito evitare e congedarsi, non volendo correre ulteriori rischi di occhi incauti visto che il padrone "di casa" sembrava intenzionato a mangiare con le sole braghe indosso e la coperta d'orso sulle spalle. Si erano così congedati e lui era riemerso nel mondo reale, immergendosi poi di nuovo nella cacofonia brulicante di un mondo fatto di uomini in armi che si preparavano all'avanzata verso sud, recandosi al posto dove si annotavano i nomi di coloro che avevano preso parte all'impresa e gli si attribuiva un materiale minimo di sopravvivenza qualora non ne avessero con sé. Poiché però lui si era portato tutto dalla Linguadoca, la sola cosa che ricevette dai luogotenenti fu una carta rudimentale dell'accampamento che gli segnava dove dovesse recarsi per trovare altri franchi e dove stessero le postazioni di allenamento e addestramento per gli arcieri come lui oltre che la grossa tenda sotto alla quale si sarebbe riparato assieme a tutti gli altri.

Da allora i giorni si erano susseguiti in maniera piuttosto simile, una girandola costante di addestramento, tiro al bersaglio, cena, guardia e sonno, girandola interrotta solamente dagli sporadici ordini di avanzata che venivano impartiti per non fiaccare troppo lo spirito dei soldati lì riuniti e placare l'ardimento fumantino dei longobardi beneventani che, coi saraceni di Puglia, avevano una questione personale. Nonostante questo, comunque, nel volgere di un ciclo di luna, lo stesso che lui aveva impiegato per andare dal suo villaggio a Marsiglia, non avevano percorso che poche miglia rispetto alla loro posizione di partenza, tanto che lui aveva iniziato a nutrire il forte sospetto che quei generali e quei capitani non avessero idea di dove dover andare una volta varcati i "confini" dell'emirato. Non che avessero incontrato chissà quale resistenza, del resto: se si eccetuavano un paio di squadriglie da ricognizione immediatamente neutralizzate, infatti, il loro esercito non aveva incontrato alcuna unità organizzata per difendere il territorio, cosa che era parsa strana a chiunque considerato che non erano né piccoli né propriamente invisibili.

La ballata del cigno e dello scorpione Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora