13: L'ombra sulla Luna

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TW: a 'na certa
c'è del sesso
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La sua mente viaggiava fra i ricordi, dipingendo sulle sue labbra il primo sorriso felice che ricordasse di percepire su di sé da molto tempo a quella parte, rivivendo le vicissitudini della sera prima e risentendo ancora le dita del cavaliere passargli sulla pelle e sfiorarne il profilo come se stesse modellando argilla coi suoi tocchi gentili.
Se gli avessero chiesto come si sentiva in quell'esatto istante probabilmente non avrebbe saputo rispondere, troppo travolto dalla danza rocambolesca delle sue sensazioni per riuscire a trovare parole adatte, ammesso ovviamente che le avessero inventate e le lui le avesse mai sentite pronunciare da favella umana.

Manuel Ferro lo aveva baciato.

Manuel Ferro aveva giaciuto con lui.

Manuel Ferro era diventato parte di lui.

Manuel Ferro lo aveva amato e lo aveva amato ancora, seppellendolo sotto ad una coltre di passione che non aveva vissuto mai, una passione che non lasciava spazio a niente se non al folle desiderio di vivere il momento in cui tutto avveniva e lasciarsi portare da esso ovunque lo volesse condurre come le foglie dell'autunno nel vento delle burrasche che quella stagione portava con sé.

E non si era tirato indietro, non era scappato come faceva sempre. Era rimasto, lo aveva strinto a sé e respirato ancora, stringendolo anche quando gli aveva confessato il suo segreto indicibile, comprendendolo e amandolo lo stesso senza provare repulsione.

E forse era normale, si diceva, forse aveva perfettamente senso che non potesse essere che così: solo chi dispensava la morte ogni volta che andava in battaglia avrebbe potuto capire un assassino, solo lui poteva conceder la grazia al suo spirito tormentato. Forse era destino che si incontrassero, come se vi fosse una qualche volontà all'opera dietro alle righe, una che aveva pensato a tutto fin nei minimi dettagli e che ora, probabilmente, osservava lieta i frutti della vendemmia ottenuta con tanto sudore.

Avrebbe solo voluto che glielo dicesse, avrebbe soltanto desiderato che tutta quella passione divenisse verbo e gli descrivesse la verità che più di tutte sognava ora che la sua promessa ad Uberto era andata definitivamente in frantumi.

«Questo posto è molto strano, Simò» gli giunse alle orecchie l'accento forte del suo amico caledone, portandolo a cessare di rimirare la boscaglia dalla piccola finestra e voltarsi in fretta nella direzione dove il ragazzo stava «Ma come ne venisti a conoscenza?».

«Lo abitava una donna che ho incontrato» replicò evasivo, rimirando ora il tetto con i mazzi essiccati appesi e ora il ragazzo biondo di fronte a lui, come sempre rivestito di quella specie di casacca pelosa che teneva aperta sul petto a mostrare il corpo magro sottostante, una delle ultime cose che erano sopravvissute al suo esilio dalla sua terra natia.

«Una donna? Tu?» ridacchiò l'altro, poggiandosi con la mano sinistra al tavolino e inclinandosi «Riterrei più probabile assistere alla rinascita dello Salvatore».

«Non esser blasfemo» lo ammonì, avvicinandosi a lui «E poi perché ti risulta tanto assurdo ch'io possa conoscer una donna, perdonami?».

«Perché so che per te le donzelle son come le stelle: fatte per esser ammirate ma non toccate con nessuna parte del corpo» gli rispose il biondo, rialzandosi e scrollandosi per far calare leggermente sulle spalle lo straccio peloso ed esporre il fisico «Li pari tuoi invece ti suscitano tutt'altri pensieri nella testa e nello cor. Me lo confessasti proprio tu».

«Non tutti li pari miei attraggono lo mio interesse Mc Fùrr. Motivo per lo quale puoi rivestirti che non t'ho portato fin qui per sollazzarmi con te» soffiò in risposta, facendo ridere l'interlocutore.

La ballata del cigno e dello scorpione Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora