16. Luci del Paradiso, fiamme dell'Inferno

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N.B. il titolo è chiaramente
una cit. Leggete con attenzione
Perché oggi voglio
Finalmente spiegarvi il
meccanismo col quale sono
legate tutte le mie FF storiche💙
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L'autunno su Oria sapeva essere inclemente, questo glielo avevano detto tutti prima che partisse per quella santa missione, ma mai avrebbe pensato potesse esserlo sì tanto per un posto sito così a sud rispetto alle vallate che chiamava casa.
Il freddo portato dai soffi del vento pareva dotato dell'insana capacità di trovare anche il più minimale pertugio da cui accedere pur di gelarti l'ossa e le vene, toccandoti con quelle zanne ghiacciate che si ritrovava e facendoti tremare da capo a piedi neppure stessi andando in pellegrinaggio a piedi scalzi sulla neve. O forse era il suo cuore ad essersi gelato, cristallizzato perennemente nell'attesa di sapere, nell'attesa di conoscere il fato del ragazzo che aveva catturato il suo scarcassato cuore e gli aveva dato il coraggio di battere di nuovo dopo che era stato immobile per anni, da quando una o più mani crudeli glielo avevano stretto talmente tanto dentro al ferro della sua armatura da obbligarlo a frenarsi perché non causasse ulteriori guai.

Dopo tutti quegli anni di vuoto, esso aveva battuto di nuovo, palpitando furibondo come Nigero quando si lanciava in battaglia, e nel suo battere gli aveva permesso di risentire quella melodia che aveva dimenticato, quel mistico pulsare che altro non era se non l'eco lontano del primo verbo di cui si avesse memoria, quel "Fiat lux" che aveva dato inizio a tutta la Creazione.

Una melodia che ora non riusciva più a sentire, quasi che se ne fosse andata assieme al sorriso dolce e agli occhi buoni del suo franco quando quella spada saracena lo aveva trapassato e le sue stesse mani, pur non volendo, avevano completato l'opra rubando al firmamento le sue stelle e gettando il mondo nello sconforto.

La sua speranza, la scintilla che ancora lo teneva in vita, stava attaccata alle mani di una donna, alle dita di una che era detta strega e alla quale aveva affidato ben più di un corpo da rattoppare, che più il tempo passava e la minaccia di perderlo cresceva e più capiva di aver avuto davanti agli occhi una verità che s'era intestardito di non voler vedere, troppo preso dalle spine di un passato lontano per accettare quel che spontaneamente gli si stava offrendo senza neppure che dovesse chiederlo, lui che nella vita aveva avuto tutto, tutto tranne quella cosa così pura che Simone aveva riversato su di lui da quando le loro labbra e i loro fiati avevan cessato d'esser distinti e eran divenuti un unico e gigantesco afflato nel respiro ancestrale della Creazione.

Quella cosa pura a cui adesso non era più disposto a rinunciare, quale che fosse il costo o il mezzo che sarebbe stato richiesto al fine di tenerla con sé.

Per questa ragione non era tornato da Ivonora ultimato il compito di lasciare la candela, per questo motivo aveva viaggiato in lungo ed in largo per le strade di Oria, stringendosi nel mantello rosso e rivolgendo scarni cenni di saluto alle guardie di ronda che incrociava lungo il tragitto, per questo motivo, adesso, si trovava lì sul sagrato della cattedrale della città, i piedi che lo trasportavano lenti verso al portale imponente e poi oltre, penetrando nell'accogliente calore di una chiesa pregna di candele.

Non sapeva perché fosse aperta a quell'ora si tarda, probabilmente per permettere a qualche ordine di monaci di celebrare i propri riti in pace prima che il sacrario so riempisse, ma badò alla cosa solo marginalmente, preferendo piuttosto lasciarsi trasportare avanti lungo la navata centrale fino ai piedi dell'altare per poi muoversi verso destra, in prossimità di una panca, e lasciarsi cadere in ginocchio davanti a grande crocifissio che lo rimirava di rimando con espressione ora dolce e ora severa, quasi che lo stesse compatendo per aver commesso un errore dopo esser stato ammonito di non commetterlo.

La ballata del cigno e dello scorpione Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora