25. Respiro

138 16 56
                                    

Doveva svegliarsi presto, gli aveva detto la notte precendente.

Doveva, appunto, perché quando i raggi del sole gli lambirono le ciglia e lo ridestarono sul suo petto sentiva ancora la soffice pressione del suo corpo, quella massa candida poggiata sul suo cuore che pareva esser fatta per essere ammirata.

Nessuno era venuto a cercarlo e di questo, lo sapeva, doveva ringraziare il tempo, che quando era giunta l'ora di andare il cielo aveva scatenato un fortunale che aveva reso vana la volontà del corvino di andare a fare il proprio lavoro sui bastioni a causa della pioggia scrosciante. Lo aveva afferrato di conseguenza, quindi, e poi se lo era fatto ricadere sulle ginocchia per amarsi ancora, permettendo stavolta a Simone di gemere mentre vi si addentrava dentro in posizione seduta grazie ai rombi dei tuoni che li assorbivano e, infine, si erano sdraiati di nuovo e si erano addormentati in quella posizione fino ad allora.

Lo guardò, guardò il suo franco riposare beato sul suo petto e si sentì improvvisamente leggero come il petalo di una rosa sull'acqua, e cedette di schianto all'istinto di piegarsi e dargli un bacio, toccando quelle labbra con le sue e desiderando solamente che non se ne andasse mai da lì, che lo tempo cessasse la sua corsa e si fermasse per loro due soltanto, permettendogli di ammirare per sempre l'opera perfetta che sonnecchiava su di lui e che si ridestò al suo tocco, aprendo la bocca per permettere alle lingue di conoscersi di nuovo e intrecciarsi ancora per qualche istante prima che un leggero fastidio lo portasse ad allontanarsi.

«Buongiorno» gli sussurrò, osservandolo intenerito «Il mio nobile principe ha dormito bene?».

«Buongiorno amore mio» ricambiò il saluto ed il sorriso il minore, prendendo a zampettare con le sue dita sul suo petto in una risalita birichina «Ho aggradito molto la vostra ospitalità, messer Ferro».

«Ne sono lieto» replicò stringendolo a sé con maggior forza per sentirselo più vicino «Allora. Che prevede il tuo programma di oggi?».

«Solito addestramento» commentò, sistemandosi più comodo anche lui «Poi caccia, cena e riposo, ammesso che il mio focoso cavaliere me ne dia maniera».

«Non te ne darà» rise di gusto «E avrebbe anche un programma meno noioso per te».

«Del tipo?» domandò sorridendo, montandogli sopra ed intrecciando le braccia sui suoi pettorali così da esserci appoggiato sopra.

«Baciarci per incominciare» gli disse, mettendo poi in atto in proposito «E poi rifarlo. Rifarlo. E rifarlo ancora, lasciandomi esplorare tutto questo bel corpo che hai messo su di me in ogni suo recesso e anfratto, inclusi i più nascosti» proseguì, dando poi una spinta che invertì le loro posizioni ed espose il minore alla sua mercè, la sua bocca che andava a toccare qualsiasi punto come stesse dissodando le zolle di un campo «Devo sapere quanto sei largo e quanto sei cresciuto da quando sei con me, in fondo. E già so quando sei lungo per cui perché attendere?».

Riprese a baciarlo, con più vigore di prima, muovendosi stavolta in largo dalla spalla destra alla sinistra, passando poi sui bracci, sulle clavicole e oltre per rifare all'opposto, benedicendo ogni nuovo tocco delle sue labbra con un numero che serviva a tenere il conto.

«E ser Marvasio?» ridacchiò lui, probabilmente perché gli stava facendo il solletico da qualche parte «Non rischiamo di farci scoprire facendo tutto questo di mattina?».

«Oramai sarà lontano a disbrigare le sue faccende» rispose «Se lo conosco almeno un po' passerà tutta la mattina ad insultare le reclute con la spada perché non la sanno usare come vuole lui».

«Non sono tutti Manuel Ferro che sa adoprare una spada nello immediato quando gliela pongono fra le mani eh?» lo canzonò «E chissà come usi la lancia se tutti dicono sia così straordinario».

La ballata del cigno e dello scorpione Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora