7. Schegge

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Dalla sua posizione privilegiata aveva visto tutto lo svolgimento della battaglia, scagliando dardi assieme a tutti i suoi compagni per assottigliare le linee nemiche e dar manforte ai loro soldati mentre si aprivano la strada a colpi di fendenti.
Aveva assistito al primo impatto della cavalleria, alle acrobazie dei cavalieri e al furore dei fanti.
Aveva visto uomini ammucchiarsi e cadere come mosche affumicate e il campo un tempo verde punteggiarsi di forme che, un tempo, erano state abili a respirare, parlare e pregare.
Poi aveva visto il bosco tremare e una fiumana di diavoli bellicosi uscire all'improvviso facendo una strage dalle retrovie e tutto quel cosmo ordinato di schieramenti andare in pezzi e render difficile colpire nel mucchio. Allora e solo allora avevano ricevuto l'ordine di potersi muovere e scegliere i loro bersagli nella mischia, ordine che però lui aveva già contravvenuto quando aveva iscagliato contro ad un saraceno una delle sue frecce perché questi si era avvicinato troppo a Manuel con la sua picca pronta a colpirlo.

Manuel.
O ser Ferro, come era più corretto lui lo chiamasse essendo il suo signore.

"Guardami le spalle" gli aveva detto prima di uscire dalla tenda, se lo rammentava bene, e lui questo aveva fatto, non perdendolo di vista neppure un attimo in quella bolgia di anime che era il terreno di scontro.
Lo aveva visto, nobile e fiero, sul suo cavallo bardato di rosso mentre caricava il nemico.
Lo aveva visto guidare quella bestia allo schianto con maestria, muovendo la spada per lasciarsi dietro scie di morti e mutilati, sconfiggendo quaranta uomini senza nemmeno scendere da cavallo.
Lo aveva visto fermarsi, difendere col suo scudo ser Matteo Parri dai dardi che venivano dal sotto bosco e rimanere lì fermo, immobile, rifiutandosi di lasciare l'altro alla mercè delle frecce, subito prima di tornare indietro verso il suo gruppo che li aveva immediatamente riaccolti in seno.
Poi lo aveva visto gettare lo scudo e afferrare uno stendardo appuntito, dando di speroni affinché Nigero potesse incominciare a correre verso una meta che non conosceva. Lo aveva osservato, cessando di gettare frecce, vedendolo correre da un lato all'altro del fronte con la lancia tesa e il mantello cremisi che gli svolazzava dietro come la coda di una palla di fuoco, un'immagine così fiera e principesca che pareva esser uscita dai racconti dei cantastorie che saltuariamente giungevano nel suo piccolo borgo.

Infine, come nella migliore delle ballate, lo aveva visto disarcioanare il cavaliere opposto e scendere poi da cavallo per affrontarlo alla pari, come si confaceva ad un cavaliere onorevole come sapeva lui fosse, giustappunto l'istante prima che il brulicare della battaglia glielo celasse  fino a che, con la rapidità con cui tutto era cominciato, tutto si era esaurito.

Non aveva capito bene come o perché fosse successo ma sapeva chi ne era responsabile, perché allorché la notizia era giunta fino a loro tutti gli altri arcieri s'eran voltati verso di lui e si erano complimentati per le prodezze del suo signore, appellandolo con lo strano nomignolo di "eroe del campo", qualsiasi cosa esso dovesse significare.  Un po' in imbarazzo aveva detto loro che avrebbe riferito i loro apprezzamenti al cavaliere non appena fosse tornato al campo e quindi eccolo lì, a camminare lentamente per le tende nella direzione della tenda dove l'altro sicuramente stava, l'arco ancora stretto in mano e l'elmo saldamente tenuto sottobraccio per evitare di sudare ancora.

Passò attraverso le fila del campo cristiano, fra dottori che correvano qua e là seguiti a ruota da frati pronti a dare l'estrema unzione a coloro che erano giudicati incurabili. In alcuni luoghi, in carenza di maestri dell'arte medica, erano gli stessi soldati a farsi rammendi alla buona, molti tracannando vino a fiumi mentre letteralmente venivano ricuciti a caldo dalle ferite che il ferro arabo aveva aperto in loro. Su tutto regnava un odore nauseabondo, un misto di tutto ciò che di disgustoso il naso umano può percepire: sudore, morte, putrefazione e liquami umani più adatti alla concimazione che ad altro, rifiuti misti di un'umanità che si era spinta troppo oltre la via della giustizia da fare il giro completo e passare all'aberrazione, come sempre accadeva quando la ragione prendeva il sopravvento e sottometteva pietà ed equilibrio alla sua tirannia.

La ballata del cigno e dello scorpione Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora