22. Il Nome

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Tw: sesso esplicito
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La fiamma dell'unica candela posta sotto all'enorme statua di San Giuseppe traballò e si piegò minacciosamente sotto al vento che l'aveva colpita, palpitando ancora qualche istante prima di arrendersi e spegnersi, lasciandosi alle spalle solo un lungo e sottile fil di fumo a ricordo di sé.

Non sarebbe stata accesa mai più, non adesso che un paradossale quanto incomprensibile disegno divino aveva fatto sì che potesse avere in carne ed ossa davanti la certezza che tutti quegli anni di preghiere levate al santo avevano sortito il loro effetto e che quel piccolo seme che un giorno aveva abbandonato sulle acque di un torrente era riuscito a metter radici e germogliare in una pianta alta più di tutti coloro che aveva conosciuto, la copia esatta dell'uomo che aveva abbandonato solennemente la curia di Narbona quando la cosiddetta "corsa per la Linguadoca" era incominciata.

«Perdonate la mia sfrontatezza padre, ma io credo che mi dobbiate una spiegazione» gli giunse alle spalle la voce del ragazzo, nelle sue note più alte così simile a quella della donna che glielo aveva affidato quasi tre lustri or sono nell'alta torre di un castello conquistato «E non pensiate di dirmi adesso che siete vincolato al segreto perché non vi consentirò di uscir di qui senza che abbiate prima dato una spiegazione ai miei perché».

Sorrise.

Sorrise il monaco, voltandosi quindi ad osservare i due ragazzi davanti a lui, scombinati pezzi di un destino beffardo si sarebbe potuto dire, passando ora lo sguardo da quello che teneva nervosamente il pugno chiuso sul pomolo della propria spada a quello che se ne stava lì davanti a far da ombra al sole in picchiata, scintillando d'arancione come avrebbe fatto l'avorio in analoghe circostanze.

«Ti nomarono Simone, quindi» gli rispose «Non so se fosse l'idea di tua madre chiamarti a siffatta maniera, non vi fu mai un Simone nella vostra famiglia, ma suppongo che questo faccia poca importanza ormai. Chi ti trovò?».

«Una donna anziana» gli rispose «Mi rinvenne in una palude nei boschi e mi tenne con sé crescendomi come fossi suo, almeno fino a che non fui costretto a partire dalla lì dopo la sua morte. Voi piuttosto come sapete cosa mi accadde? Lavoravate per la mia famiglia e vi incaricarono di gettarmi via perché non ero gradito?».

«Oh no, mio giovane franco, nessuna delle due» replicò «I tuoi genitori vollero te e tuo fratello come ogni genitore vuole il figlio che gli sia erede. E no, decisamente io non lavoravo per loro».

Forse avrebbe dovuto meglio calibrare le parole, si rese conto troppo tardi, perché non appena ebbe pronunciato la parola "fratello" il ragazzo di fronte e a lui sbiancò e fece un passo indietro, quasi perdendo l'equilibrio mentre arretrava al punto che l'altro giovane lasciò la sua posizione e lo afferrò prima che potesse cadere, riservandogli un'occhiataccia.

«Ti chiedo perdono, ragazzo» si affrettò a dire «Non ho tenuto di conto che tu non potevi sapere».

«Fra... Fratello?» balbettò il giovane fissando il pavimento e poi lui «Io ho... Ho un... Un fratello? Dov'è? Chi è? Chi sono io?».

Riservò un lungo sguardo alla coppia e poi focalizzò l'attenzione sul più grande cavaliere, scambiando con lui uno sguardo che intendeva rendergli chiaro e manifesto che ciò che stava per dire non gli sarebbe piaciuto, e comprendendo il messaggio muto il moro strinse l'altro di più, forse con troppa intimità per essere solo buoni amici ma decise di soprassedere in quel momento, avendo faccende ben più importanti di cui parlare, dopodiché riprese a parlare per dare risposta all'interrogativo appena posto.

«Posso rispondere all'ultima delle tue domande, ragazzo mio, ma alle altre la risposta è nota solo a Dio, sebbene io possa immaginarmi dove l'anima di tuo fratello e tua madre siano adesso» disse, notando come si attendeva lo sguardo fiducioso del corvino spegnersi tutto assieme come si era spenta la fiamma della candela «Ma, per quel che vale, non hanno sofferto, ne sono certo».

La ballata del cigno e dello scorpione Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora