Capitolo primo

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POV di Ester
Gelo.
Gelo bruciante per tutto il corpo. Sento l'acqua toccarmi ovunque, tra i capelli, nei vestiti, persino nelle vie respiratorie. Mi risale per il setto nasale, provocandomi una fitta di dolore nella testa.
E poi c'è lui.
Può non piacermi, ma è l'unica cosa che mi tiene a galla. Le sue braccia che mi stringono a sé sono l'unica cosa che non è gelata, il battito infuriato del suo cuore l'unica cosa più forte delle onde.
E poi non c'è più.
Un onda troppo forte strappa il motore dalle mie braccia, e strappa me dalle sue.
Allora sento gelo e basta.

Bip
Bip
Bip
Spalanco gli occhi.
Sono viva. Sono viva e respiro! Non sento più acqua fredda ovunque.
Ho gli occhi incollati ad un soffitto bianco.
Mi guardo intorno. Tutta la stanza è bianca, vedo persone vestite di bianco passare davanti alla porta con passo stressato.
Ma cos'è, la sagra del gelato?
Faccio scendere lo sguardo sulla branda nella quale sono costretta, e mi cade l'occhio sul braccio disteso sopra il lenzuolo azzurro.
Ho tre tubi infilati nell'incavo del gomito, attaccati ad un macchinario che borbotta.
Sgrano gli occhi.
Una flebo.
Sono in ospedale.
Alzo l'altro braccio con non poca fatica e mi tasto il viso. Ho una maschera a ossigeno posta su naso e bocca. A ripensarci non respiro tanto bene.
Cerco di muovere le gambe e, con mio sommo orrore, la sinistra resta ferma
Il cuore mi batte a mille, il macchinario che mi ha svegliata, rappresentante del mio battito cardiaco,  comincia a suonare come un pazzo.
Tre infermiere corrono nella stanza, parlando in modo concitato, o forse urlando, non saprei dirlo.
- "si è svegliata!"
- "Chiamate il responsabile!"
- "Toglietele la flebo subito! È in shock"
Shock? Responsabile? Ma che cazzo?
Una delle tre esce correndo, mentre le altre due staccano la maggior parte dei tubi che ho attaccati alle braccia; poi quella che delle tre sembra il capo comincia ad accarezzarmi i capelli, dicendomi parole incoraggianti per tranquillizzarmi.
- "te la sei cavata, ormai. Va tutto bene. Sei al sicuro..."
Il mio respiro torna ad essere regolare.
"te la senti di togliere la maschera?" Chiede.
Annuisco.
Lei mi sfila delicatamente la maschera a ossigeno , e quando l'aria mi entra di nuovo nei polmoni è più fredda, fa quasi male. Tossisco, e allora mi rendo conto di una sensazione molto invasiva e molto fastidiosa che parte dal naso e mi attraversa l'esofago.
Un tubo.
Ho un tubo infilato nel naso.
Ma perché tutte a me?!
Faccio per tirarlo ma l'infermiera mi ferma.
- "aspetta, faccio io." Con una mano afferra il tubicino e comincia a sfilarlo. Mi viene un conato, mentre il tubo mi risalo dallo stomaco nell'esofago e su per il naso, e quando finalmente me ne libero comincio a tossire come un gatto che sta per sputare una palla di pelo.
- "Era un sondino naso gastrico." spiega l'infermiera. "Serviva a nutrirti mentre..." sospira. "Il tuo responsabile ti spiegherà tutto."
Apro la bocca per parlare ma esce solo un suono flebile.
- "non preoccuparti, la voce tornerà presto." Mi assicura l'infermiera con un sorriso.
In quel momento entra nella stanza un uomo sulla cinquantina, vestito con un completo elegante e degli occhiali arrotondati.
Mi sta immediatamente simpatico.
- "ecco." Sorride l'infermiera. "È arrivato." Mi da una stretta di incoraggiamento al polso ed esce dalla stanza, seguita dalle due infermiere che mi hanno soccorso.
L'uomo fa un sorriso a metà tra il fiero e l'imbarazzato.
- "sapevo che ce l'avresti fatta." Dice.
- "Co-sa..." mi schiarsco la gola. "A fare cosa?" Riesco a sussurrare.
- "A svegliarti." Risponde lui.
Gli lancio uno sguardo interrogativo.
L'uomo si avvicina e si siede sul letto, impacciato.
- "vedi, cara." Stringe le labbra. "Non è facile da annunciare, e potrebbe essere una notizia...destabilizzante, per te, ma..."
Lo guardo incalzante. L'uomo sospira.
- "Sei entrata in questo ospedale un mese e due settimane fa."
Aggrotto le sopracciglia.
In che senso un mese e mezzo fa, mi sono svegliata ogg-
Sgrano gli occhi e incrocio lo sguardo dell'uomo. Sembra dispiaciuto.
Tutti i pezzi si incastrano perfettamente.
- "sono stata in coma per un mese e mezzo." Sussurro.
L'uomo mi stringe il braccio.
- "Mi dispiace tanto, mia cara. Ma la cosa importante è che tu ti sia svegliata." Aggiunge severo. Poi sorride. "Visto com'eri conciata molti hanno pensato che non ce l'avresti fatta, ma io ho creduto in te. Spero che potrai imparare a credere in me anche tu."
Lo guardo confusa, mi sento la testa leggera.
- "non voglio metterti troppo in difficoltà in un solo giorno ma" sospira. "Devo chiedertelo." Fa un sorriso incredibilmente pacato. "come ti chiami?"
Aggrotto le sopracciglia.
"I-io..." mi inumidisco le labbra, all'improvviso ho la gola secca. "io, non me lo ricordo."

All the lines she crosses 2- till death do us partDove le storie prendono vita. Scoprilo ora