Capitolo trentasettesimo, parte due

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POV di Ester
Mi volto, corro più veloce che posso fuori dalla finestra e nuovamente in strada.
Sento rumori di passi e fucili che sbattono contro la coscia, ordini urlati brutalmente.
Non mi attardo a cercare di capire da dove vengono, mi aggrappo ad un tubo di scappatoio infisso al palazzo e comincio ad issarmi verso il tetto, più veloce che posso.
Ignoro la ruggine che mi taglia i palmi e il
metallo nella gamba. Mi dico che ormai ci sono abbituata. Mi aggrappo al cornicione e mi tiro su con tutta la forza che possiedo nelle braccia.
Mi guardo intorno, disperata, cerco qualcosa di familiare, di utile.
Non posso tornare alla casa. Devo trovare Liam e Marti, devo-
Del fumo si alza dal tetto di quella che ha tutta l'aria di essere una grande cabina telefonica.
È a soli quattro palazzi di distanza, e sicuramente gli agenti non mi cercheranno in mezzo ad un potenziale incendio. Devo arrivare prima che il fuoco contagi il telefono così da chiamare i rinforzi.
è perfetto.
Prendo la rincorsa e chiudo gli occhi.
Corro fino al cornicione del palazzo e spicco un balzo.
Agito scompostamente mani e braccia, trantrengo un urlo, e mi sembra di essere tornata dentro una delle simulazioni della barca.
Solo che questa non è una simulazione, e se cado mi ammazzo per davvero.
Sbatto entrambe le braccia contro il tetto della casa vicina. Mi si mozza il fiato nei polmoni. Ingoio uno strillo.
Mi sembra che i muscoli delle mie braccia stiano per lacerarsi, mentre trascino il mio corpo oltre il bordo. Mi rimetto in piedi, prendo nuovamente la rincorsa, e salto.
Ancora.
Sbatto nuovamente le braccia. Mi alzo, salto.
Ancora.
Sbatto le braccia, ma il destro cede. Scivolo di più verso il bordo, ma mia mano sinistra si richiude sulle tegole rotte, sento l'osso del mignolo torcersi.
Sono sospesa nel vuoto.
non lasciare.
non lasciare.
"se c'è una cosa che devo dirti sappi che io ti-"
che io ti cosa? che cosa volevi dirmi?
Devo salvarmi, o non lo saprò mai.
Tiro su anche l'altro braccio. Afferro le tegole sporgenti del tetto. Agito le gambe per darmi slancio, cerco di tirarmi su, e ricado nel vuoto.
Sento uno strappo alla spalla. Ma ricomincio.
Gambe, slancio, tirati su.
Ancora.
E ancora.
Finché non ci riesco.
Striscio sul tetto. Mi sento come un sacco vuoto, molle, senza ossa, senza muscoli.
Guardo oltre il bordo. Il fumo si è fatto più nero e spesso. Non ho tempo di fermarmi, non posso.
Potrei calarmi eroicamente dal tubo di scappatoio ma, sia ringraziata la modernità, infilo le scale anti incendio, corro più veloce che posso.
Mi bruciano gli occhi. Le gambe, le braccia, le mani.
Le mani. Abbasso lo sguardo. Sono striate di rosso. Il mignolo sinistro è storto, cerco di raddrizzarlo. Fa male.
Finalmente arrivo a terra. Corro verso la cabina telefonica, pregando che nessuno mi veda.
La porta ha un chiavistello che si apre dall'esterno, lo svito e faccio per caricare la porta arruginita, ma questa si apre da sola come per magia e una persona mi cade addosso.
Sbatto la testa a terra. Mi si chiudono i polmoni mentre un dolore acuto mi si irradia nella spina dorzale.
Una cascata di capelli castani che immagino appartenere alla fata madrina che ha aperto magicamente la porta mi struscia in faccia, impedendomi di vederci qualcosa.
alza il culo da me!
è quello che dovrei dire.
- "porta le tue bacchette magiche da un altra parte!"
è ciò che invece dico. Ma funziona: la fata madrina infatti si scosta e finalmente riesco a vedere la sua faccia.
-" Ester!" esclama Marti. Si alza finalmente da sopra di me. "allora mi hai aperto la porta! ecco perché è stato all'improvviso così facile sfondarla! io-"
Mi alzo in piedi, ignorando il dolore alla testa.
- "Felisha ha attaccato caleb." taglio corto.
Marti diventa improvvisamente seria.
Impreca.
- "è troppo presto." borbotta. "dov'è?"
- "a casa."
Vedo Marti sbiancare.
- "anche Liam è lì." si mette una mano tra i capelli. "no, no, no, no!" lascia cadere a terra la giacca di pelle e prende un coltello che aveva assicurato al bicipite. "andrà tutto a puttane, merda!"
- " degli agenti della barca mi stanno seguendo." mi viene da piangere. "vogliono riprendermi non so cosa fare."
- "sei armata?"
annuisco.
- "allora usala per difenderti. Scappa."
La guardo, sbigottita. Mi accorgo solo ora che ha del sangue impiastricciato ai capelli e delle incisioni nei palmi.
Faccio scorrere lo sguardo dalla cabina telefonica a Marti.
Tiro fuori la pistola che ho preso da sotto il letto di caleb e la punto contro di lei.
Questa alza le mani.
- "sei un diamante anche tu?" chiedo, la voce che mi trema.
- "Ester, ti prego, abbassa quella pistola, non-"
Le premo la pistola alla fronte.
- "sei un diamante anche tu?!" urlo. "dimmelo!" sto piangendo. Faccio pena, sto piangendo.
Marti stringe le labbra.
- "sì."
E per un secondo, mi viene voglia di metterle la pistola in mano e scappare.
Mi sembra che non ci sia posto sulla terra dove la barca o l'agenzia non mi possano ritrovare.
Poi rinsaldo la presa sulla pistola, le lacrime si fermano, l'emozione si spegne.
- "io ti ammazzo." sussurro.
Marti ha gli occhi lucidi. A ben guardarla sembra avere lacrime secche sulle guance, come se, nel tempo in cui era stata chiusa nella cabina, avesse pianto.
- "non mi importa niente dell'agenzia!" sbotta. "non mi importa più niente dell'Agenzia, della barca, persino di te, o di Bond, tutto quello che mi
importa è Liam, e lo uccideranno se non sono io ad impedirlo, uccideranno anche Caleb."
Mi mordo l'interno della guancia finché non sento il sapore metallico del sangue.
- "come faccio a crederti?"
- "ti prego. Wren mi ha rinchiuso qui! E verrà a cercare te per portarti all'Agenzia in quanto figlia di Bond!"
Stringo gli occhi, cercando di scacciare il dolore pulsante alla testa.
- "è già successo." mormoro.
- "allora sai che non mento! E Prenderanno anche Liam, lo tortureranno, perché io sono il cecchino, e lui è la mia vittima che non ho ucciso. ti prego, ti prego, mi devi ascoltare."
Sento dei passi pestare il suolo dietro di me, ordini gridati, fucili contro la gamba.
Guardo Marti.
- "se è come dici." mormoro. "aiutami a seminarli."
Mi scosto da lei. Una determinazione calcolata, fredda si forma negli occhi di Marti.
- "posso ucciderli?" chiede.
Stringo le labbra.
- "evita."
E finalmente una decina di agenti sbuca da un vicolo e si riversa davanti a noi.
Sono tutti vestiti di nero, infilati nelle tute che avrei tanto voluto poter portare un giorno da piccola.
Ora le odio.
- "il corpo è anti proiettile." dico all'intesa di Marti. "Colpisci il resto."
Marti sorride, e quando si lancia in avanti capisco perché si è chiamata cecchino. Non si fa spaventare dalle armi da fuoco, aggredisce i soldati uno dopo l'altro, con precisione sistematica, e finalmente riconosco il militare, il soldato.
Io ferisco gli agenti alle mani, sparandogli e mancandoli per un pelo ogni volta, lei li atterra. Rubiamo dei fucili.
E poi corriamo.

All the lines she crosses 2- till death do us partDove le storie prendono vita. Scoprilo ora