capitolo trentunesimo, parte due

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POV di Ester
Apro gli occhi.

Un fischio perforante mi rimbomba nel cervello e gli occhi mi bruciano. Mi guardo intorno nella stanza sfocata alla ricerca di acqua.

Vicino alla mia branda c'è una sagoma, che deduco essere una poltrona, con qualcuno accasciato sopra. Mi sporgo verso di essa e afferro il braccio della persona, scuotendolo con forza.

- "acqua." mormoro con voce roca.

La persona scatta in piedi e corre via dalla stanza. Dopo dieci secondi torna con tre bicchieri pieni d'acqua in mano. Li bevo tutti e tre e chiudo gli occhi, il fischio che si affievolisce gradualmente, insieme al bruciore che sento agli occhi. Quando torno a guardare la persona seduta sulla poltrona accanto al mio letto riesco a distinguere la maggior parte dei suoi lineamenti.

Faccio un mezzo sorriso.

- "allora, Caleb, ti sei addormentato su questa potrona aspettando che mi sensitssi meglio?" lo punsecchio.

Caleb mi toglie i bicchieri vuoti dalle mani e li poggia a terra.

- "non darti troppe arie, novellina." Mi scosta una ciocca di capelli dal viso. "come ti senti?"

- "come se avessero usato la mia testa per giocare a palla avvelenata." rispondo sinceramente. All'improvviso mi torna in mente il motivo per il quale sono nel letto di un ospedale. Butto giù la coperta che mi copre le gambe.

La mia gamba sinistra è ancora lì... ha solo una nuova cicatrice ad attraversarla.

- "non..." i ricordi delle voci in sala operatoria mi si rovesciano in testa. Alzo lo sguardo e incontro quello di caleb. "cos'è successo?"

- "stavi perdendo troppo sangue per l'amputazione, non sarebbe stato possibile aggiungere una protesi..."

- "quindi?"

- "quindi ti hanno impiantato dei sostitutivi di metallo direttamente nella gamba."





POV di Ester, il giorno dopo

Deglutisco.

"il chirurgo era un infiltrato della barca." mi aveva spiegato caleb. "un medico normale non avrebbe mai accettato di fare una cosa del genere, ma è stata la scelta migliore."

"mi ha riconosciuta?" ho chiesto subito.

"no, non lo avrei mai permesso."

Deglutisco. Sono stata dimessa dall'ospedale quasi subito, ho lasciato che Caleb mi portasse in braccio fino alla macchina e poi dentro casa, per paura di scoprire che questi pezzi di metallo aggiunti tra i miei muscoli e le mie ossa irrimediabilmente fratturate non mi avrebbero reso affatto più facile camminare, o magari che io stessa non sarei mai stata capace di abituarmi a loro.

Ma il momento è arrivato. Devo camminare. Nessuno deve sapere ciò che mi è successo.

La gamba sinistra è più pesante dell'altra, ed è avvolta da una perenne sensazione di freddo. La pelle è ancora rossastra a causa della nuova cicatrice, che però è più alta, sulla parte superiore della coscia, e quindi praticamente invisibile. Se non fosse stato per la sottile striscia di metallo che mi cinge la caviglia sarebbe stato praticamente impossibile dedurre che mi ero appena sottomessa ad un operazione del genere.

Traggo un respiro profondo e mi alzo dalla sedia posta in mezzo al giardino, continuando a tenermi allo schienale. Sento il solletichio dell'erba sotto il piede destro, ma sotto quello sinistro riesco a malapena a percepire il contatto con un suolo rigido. Ho perso completamente la percezione, già scarsa, alla gamba sinistra.

All the lines she crosses 2- till death do us partDove le storie prendono vita. Scoprilo ora