Capitolo terzo

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POV di Ester
Come al solito, le mie prime impressioni sono giuste: l'uomo con il completo elegante e gli occchiali tondi è molto simpatico.
Si chiama Phil Dreamerson, è lui che mi ha trovato sulla sponda di una spiaggia di Savannah un mese e mezzo fa e mi ha portata immediatamente in ospedale, dove fa volontariato.
- "non ho nessuna intenzione di lasciarti in ospedale per un secondo di più!" Esclama, ancora seduto sul mio letto dopo una chiacchierata che mi ha molto tranquillizzato. "Ho una casa molto bella, una moglie e due figli, sono sicuro che saranno contentissimi di accoglierti per tutto il tempo di cui hai bisogno per riprenderti, o finché non ritroveremo la tua identità.
Sorrido.
- "grazie, Phil."
Lui mi restituisce un sorriso che avrebbe fatto invidiare la serenità stessa e poi si alza.
- "bene! Si deve trovarti un nome, adesso."
- "puoi chiamarmi E...Elena."
- "Elena. È un nome grazioso." Si avvia verso la porta. "Ti farò portare dei vestiti, hai fame?"
Annuisco con trasporto.
Phil ride.
- "ti porto a prendere un hamburger appena sei pronta. Ti aspetto all'uscita dell'ospedale."
Poco dopo l'infermiera che mi ha tranquillizzata quando mi ero appena svegliata entra con una pila di vestiti, come mi aveva preannunciato Phil. Li poggia sul letto, ma con mia grande sorpresa non se ne va per lasciarmi vestire.
- "penso proprio che dovrei aiutarti." Mi spiega, in risposta ai miei sguardi interrogativi.
Faccio un sorriso imbarazzato e scosto le lenzuola, ma quando lo sguardo mi cade sulle mie gambe capisco il motivo della sua presenza.
La mia gamba sinistra è attraversata da una profonda linea rossa che parte dall'inguine e sparisce  sotto un tutore che mi circonda la caviglia fino a metà polpaccio.
Traggo un respiro tremante, poso le mani sul materasso per nasconderne il tremore all'infermiera.
- "cosa c'è sotto?" Chiedo.
Lei segue la linea del mio sguardo fino al tutore. Stringe le labbra.
- "penso che hai ricevuto abbastanza notizie per oggi-."
- "cosa c'è sotto?" Taglio corto.
Lei sospira e mi slaccia il tutore, permettendomi di lanciare uno sguardo.
Mi si mozza il fiato in gola.
Il piede è completamente storto, in una posizione innaturale.
Mi scappa dal petto un singhiozzo senza lacrime.
- "non è vero." Sussurro. La crepa rossa che mi sfigura la gamba si divide in tante ramificazioni sul piede screpolato.
Distolgo lo sguardo. L'infermiera richiude il tutore e mi tende un braccio.
- "tornerai a camminare come si deve." Susurra. "Non preoccuparti."
Già, non preoccuparti.
Lascio che l'infermiera mi vesta con la maglietta e i pantaloni corti che aveva portato con sé. Lasciano scoperti le gambe, e con esse la cicatrice.
- "posso cercare qualcosa per nasconder-" dice la donna.
- "no." la blocco. "Non è importante."
Quando mi mette davanti una sedia a rotelle mi viene da vomitare.
- "puoi camminare con le stampelle, ma per i primi giorni devi stare il più possibile a riposo." Spiega.
Forzo un sorriso.
- "ma certo."
Mi isso sulle braccia per spostare le gambe sulla sedia con il minore aiuto possibile da parte dell'infermiera, poi mi lascio scarrozzare fuori dall'ospedale, dove Phil mi sta aspettando con un sorriso. Un sorriso che non vacilla neanche quando mi vede ficcata in quella sedia, con una cicatrice profonda che mi corre per tutta la gamba.
A pensarci bene probabilmente mi ha vista quando quella cicatrice era ancora aperta, ma mi fa comunque sentire meglio.
Prende rapidamente il posto dell'infermiera e mi scarrozza verso un negozio di fast food.
- "non preoccuparti." Mi dice intanto. "Per quanto mi riguarda puoi usare le stampelle anche subito."
Arriccio in naso.
- "a dire la verità non mi dispiace essere scarrozzata in giro."
Scoppiamo a ridere entrambi.
Quando finalmente arriviamo al bar Phil si ferma ad un tavolo all'aperto, spostando una sedia per permettermi di accostarmi al tavolo.
- "devo presentarti qualcuno." Annuncia Phil.
Lo guardo trepidante.
Phil si scosta su un lato, rivelando una ragazza con la pelle ambrata, una cascata di lunghissimi capelli mori ondulati e un fisico maledettamente perfetto.
Probabilmente non supera il metro e settantacinque, ma  dalla mia sedia mi sembra alta almeno due metri.
- "piacere." Tende una mano avanti. "Sono Felisha."
La stringo.
- "E...Elena." Rispondo.
Felisha stringe gli occhi, guardandomi. Cerco di ignorare la sua espressione di assoluta diffidenza.
Probabilmente si chiede perché ho l'aspetto di una che è appena annegata e poi è stata ripescata dal mare e lasciata ad asciugare in un letto per oltre un mese. Che è esattamente quel che è successo.
Phil ci lascia sole per andare ad ordinare, Felisha scivola su una sedia accanto a me.
- "allora, Elena. Ci siamo per caso già viste da qualche parte?"
- "è...è imbarazzante." Ridacchio. "Ma io non saprei dirlo."
Un espressione sospetta gli scorre di nuovo sul volto, ma poi sparisce con la stessa rapidità con la quale è arrivata, e Felisha comincia a raccontarmi delle cose frivole e sconnesse, come farebbero delle normalissime amiche. Eppure c'era qualcosa di quell'espressione sospettosa che non riesco a togliermi dalla mente.

POV di Caleb
Entro in una birreria, ancora poco affollata, visto l'orario.
Mi lascio cadere ad un tavolo e ordino una birra. Faccio segno ai cinque soldati che mi accompagnano di andare a sedersi al bancone.
Il cameriere mi sbatte il boccale davanti.
- "benvenuto a Pooler, signore."
Gli lancio un sorriso mentre si allontana.
Non sono riuscito a ritrovare Ester entro due giorni, mi sono quindi ritrovato costretto a fare rapporto alla barca e segnalare che sono sulle sue tracce, contro ogni aspettativa, non ero stato ucciso, torturato o linceziato per averla persa in mare. Qualcuno deve aver senza dubbio vegliato su di me.
Mi poso la borsa di Ester sulle ginocchia e tiro fuori i fascicoli che contiene.
In oltre un mese di ricerche, non ho mai avuto tempo di leggerli tutti...o forse semplicemente non ho avuto voglia: dopo aver visto che il primo era a proposito della missione in Uruguay ho intuito il contenuto degli altri ed ho lasciato perdere.
Ma arrivato fin qui, perché non controllare?
Apro un fascicolo a caso, faccio scorrere i fogli senza leggerli realmente, finché l'occhio non mi cade sulla foto fissata al cartoncino rovinato con una graffetta.
Sgrano gli occhi.
I colori sono sbavati dall'acqua, ma non ho dubbi sull'identità dell'uomo.
Scatto in piedi.
Perché Ester ha un fascicolo su mio padre?
- "signore, abbiamo rilevato tracce di un paziente amnesico e sprovvisto di identità in un ospedale di Savannah." Mi dice uno dei cinque soldati.
- "molto bene." Dico, staccando a fatica gli occhi dal fascicolo. "Muoviamoci subito."
- "se non mi spingo troppo oltre...i miei compagni vorrebbero avere qualche informazione in più sulla missione e sulla... cosa o...persona che stiamo cercando, siamo in viaggio da un mese ormai..."
Mi volto a guardarlo.
- "diciamo solo che mi appartiene e devo ritrovarla al più presto."

All the lines she crosses 2- till death do us partDove le storie prendono vita. Scoprilo ora