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Italia pov
La stramaledetta sveglia del lunedì mattina mi torturó i timpani per ben 5 minuti prima che mi decidessi a spegnerla e alzarmi.
Scesi le scale e iniziai a fare colazione con un po' di caffelatte e biscotti mentre Spagna faceva la speedrun per finire i compiti di inglese che non aveva fatto la sera prima.
Francia inzuppava un croissant nel cappuccino senza degnarci di uno sguardo.
Tutto in silenzio. Solo il grattugiare della penna di Spagna che correva veloce sul foglio interrompeva il silenzio del lunedì mattina in casa mia.
Mi alzai sentendomi sotto pressione e andai prepararmi.
Uscii insieme a Spagna che aveva appena finito i compiti e appena fuori feci un bel respiro.
Tutta quella pressione mi aveva messo ansia.
Erano già 10 minuti che camminavamo verso la scuola che vidi poco più avanti Germania che camminava a testa bassa.
Corsi da lui abbandonando Spagna che si ritrovò a parlare con l'aria e abbracciai il tedesco da dietro che si voltó subito.
"Chi sei? Oh, sei tu" disse sorridendo un pochetto.
Mi staccai.
"Scusa" dissi arrossendo.
"Tranquillo, anzi, mi dispiace che non c'è Giappone, sai il sangue dal naso" commentò sorridendo.
"Haha si.." risposi ricambiando.
Notai subito che Germania era diverso. Più silenzioso. Ok, si, lui era silenzioso sempre, però oggi era diverso. Più spento.
"Dimmelo" dissi secco a un  certo punto.
"Cosa?" chiese sconcertato lui.
"Cosa ti fa sentire così" precisai.
"Così come?"
"Non lo so, ti vedo più giù. Spento." dissi. Forse non mi capiva. Come tutti d'altronde.
"Non è niente tranquillo, poi passa. È lunedì dopotutto" mi rispose piano aggiungendo un leggero sorriso alla fine, spento anch'esso.
"Mh, forse hai ragione." dissi, non del tutto ancora convinto.
Arrivammo a scuola e trovammo la giapponese che ci aspettava in compagnia di America, che si divertiva a dare fastidio a Russia, e lui che cercava di non perdere la pazienza e tirargli un pugno in faccia.
"Partiamo bene" commentai appena vidi la situazione iniziale.
"Direi di si" mi rispose la neko con delle occhiaie sotto gli occhi di solito allegri.
"Cos'hai Giapp?" chiesi preoccupato. Oggi era strano. Tutti i miei migliori amici stanchi. Anche America dopo aver visto che Russia non reagiva aveva smesso, cosa che non faceva mai.
"Ieri sera no? Quando mi avevate avvertita dei pericoli della strada la notte. Ecco appunto." spiegò.
"Non dirmi che ti hanno..." chiesi spaventato.
Adesso anche Germania era in ascolto, preoccupato.
"Nono, però ci sei andato vicino. Stavo camminando con le chiavi di casa tra le dita quando passai davanti a un lampione e 3 ragazzi qualche anno più grandi di noi mi hanno vista." continuò, cominciando a tremare.
Le andai vicino e la strinsi a me.
Chiunque erano quelli là, lei mi ci avrebbe portato e li avrei aspettati, anche a costo di fare a botte.
Sticazzi dei pugni e calci, non me ne fotteva niente, nessuno, e se dico NESSUNO intendo nessuno, poteva permettersi di trattare Giappone così. Lei, che era l'anima più innocente e delicata di tutte, non si meritava questo trattamento.
"Uno mi ha fischiato dietro e ho accelerato il passo. Hanno cominciato a seguirmi e così gli ho fatto notare le chiavi di casa. Due si sono spaventati, l'altro no. Ho dovuto fare un giro stranissimo perché non volevo che vedessero dove abitavo. Così sono tornata a casa tardissimo e stamattina mi sono vestita di nero perché non volevo che mi riconoscessero, anche se non c'erano oggi." finii lei.
La osservai e notai che aveva dei pantaloni larghi e neri e una felpa oversize nera anche lei.
Era la prima volta che vedevo Giappone vestita di nero.
"Hai visto i loro volti?" chiese Germania.
"Abbastanza."
"Oggi andiamo in commissariato e li denunciamo." annunciò lui.
"Cosa?! Ma sei pazzo!?" urlò Giappone.
"No, sono dei criminali. Chissà quante ragazze hanno già stuprato o hanno in programma di stuprare quelli." spiegò lui secco.
Io ero rimasto fuori dalla conversazione.
Ero d'accordo con Germania però. Avevano potuto farle del male a Giappone. Se l'avessero presa l'avrebbero potuta lasciare incinta.
E seriamente, rimanere incinta a 16 anni senza avere un padre non è il massimo. Senza avere qualcuno in casa che ti sostiene.
"Giappone sono d'accordo con Germania." dissi.
"Siete pazzi. È una sciocchezza!" disse lei.
"Giappone non ci convincerai. È per il tuo bene. Non vogliamo tu accada qualcosa di indesiderato." disse Germania, mettendo fine alla conversazione.
"Stamattina mi sembrate tutti toxic" commentò America che era andato in bagno durante quel discorso.
Russia invece se n'era andato con Cina e Nord Corea.
"Non è colpa nostra." disse Germania.
"Vorrei solo capire perché tu ti senti così però." chiesi dando tanto peso alla parola tu.
"Non sono in vena di parlarne" rispose lui secco.
"Ti capisco, ma se non ce ne parli non lo supererai mai..." dissi ma lui mi interruppe.
"Ti ho detto che non ne voglio parlare! Pensi sempre solo a te stesso, come mai oggi sei tanto altruista?!" urlò lui.
Rimasi a guardarlo, in silenzio. America e Giappone ci guardavano scioccati.
Le sue parole facevano male. Male. Facevano tanto, molto, troppo male.
Senza il mio consenso le lacrime iniziarono a scendere su tutte le guance arrivando al collo.
"I-Italia io non..." iniziò lui ma io corsi via.
Non volevo che mi vedesse così. Non volevo piangere.
Ma faceva male. Mi sentivo male, io, dentro.

Germania pov
"ASPETTA!" gli urlai correndogli dietro, seguendolo.
Entrò nella scuola, dove gli studenti più grandi erano già entrati, e la cosa che videro fu Italia correre verso i bagni con me al seguito.
Entrai qualche secondo dopo di lui, col fiatone. Tutte le porte dei bagni erano chiuse, ma da uno provenivano dei singhiozzi. Quelli di Italia.
Aprii la prima porta e lo vidi seduto sulla tavoletta chiusa con la testa fra le gambe. A vederlo conciato così mi si strinse il cuore.
"Italia io non volevo, ascoltami ti prego..." dissi piano.
Non mi rispondeva.
Gli misi una mano sulla spalla ma mi urlò contro.
"Non mi toccare!"
"Ascoltami per favore..." lo pregai.
Continuó a piangere.
Non sapevo cosa dire, così lo abbracciai, come aveva fatto lui con me.
Sulle prime aveva continuato poi il pianto si era affievolito in respiro affannato e poi in singhiozzi scossi.
"Ascoltami adesso." dissi, accarezzandogli la schiena.
Lui si strinse di più a me.
"Io non volevo assolutamente dirti quello. Ero accecato dalla frustrazione, tu sei la persona più gentile che io abbia mai incontrato, sei altruista. A volte penso che tu ti preoccupi troppo per gli altri che per te stesso. Perdonami." dissi.
Italia ci mise un po' ad alzare la testa e a piantare  i suoi occhi gialli dritti miei mie. Puntati, conficcati nei miei occhi verde smeraldo, come se potesse vedere oltre di essi.
"D-davvero pensi questo di me?" chiese piano.
"Certamente, sennò non lo avrei detto." risposi.
"E allora perché hai detto che sono egoista e che non mi frega niente di nessuno prima?" chiese facendosi ritornare le lacrime agli occhi.
"Sono stato un coglione, ero accecato dallo stress. Forse sono io quello egoista qua." dissi.
Odiavo vederlo in quel modo. Lui, sempre sorridente e pronto ad aiutare gli altri ridotto a uno schifo perché? Per colpa mia. Mi sentivo malissimo.
Mi sentivo come, come mio padre.
Lui aveva fattore lo stesso con il padre di Italia. Lo aveva ferito, mentre lui credeva in mio padre.
Non volevo essere come lui, assolutamente, così, feci ciò che mio padre non aveva fatto : dimostrare quanto una persona sia importante per te.
"Italia" dissi abbassando il viso al livello del suo.
"Devi sapere che sei una delle persone più importanti della mia vita. Anzi, sai che ti dico? La più importante. Giappone è un'amica si, Russia e America anche, ma tu vali molto più di loro. Solo tu hai dimostrato attenzione per il mio stato d'animo oggi. Solo tu stamattina mi hai abbracciato, come neanche mio padre aveva mai fatto. Anzi, gli unici momenti in cui mio padre mi ha mai toccato forse sono stati solo per picchiarmi." gli dissi.
Lui mi guardava con le lacrime agli occhi. Non avevo capito se di tristezza, se ce l'aveva ancora con me, se non mi aveva perdonato.
Poi iniziò a piangere di nuovo. Lacrime gli scivolano lungo le guance, scendendo sul collo magro e inzuppando il colletto della maglia.
"P-perché piangi?" chiesi sconcertato.
"Perché mi vuoi bene. Sono cose bellissime quello che mi hai appena detto. Te ne rendi conto?" spiegò continuando a piangere col sorriso sul volto.
Lo strinsi a me e lui scese dalla tavoletta del water abbracciandomi realmente adesso. Mi arrivava al petto. Mentre eravamo uniti in questo abbraccio, lui mi aveva bagnato la maglietta, ma non m'importava.
Finché era felice ero felice anch'io.

Bello vero?
Capitolo lungo e pieno di traumi e pianti, ma soprattutto di tanta GerIta. <3
Spero vi sia piaciuto!
Scusate per l'assenza ieri ma ero particolarmente stanca :/
Oggi invece eccomi :)
Molto probabilmente domani scrivo, quindi si,
A domani
FG07

Finché Ci Sarò Io - GerIta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora