Capitolo quindici

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James era sinceramente stanco di quella situazione. Insomma, lui era estraneo a tutto l'ambiente regale eccetera, quindi stava già facendo uno sforzo enorme a vivere nel castello invece che, magari, nella sua umile casetta all'interno della Foresta. E, in più, Irwin era anche una dannata spina nel fianco.

D'accordo, aveva ucciso suo zio e James era abbastanza sicuro che non dovesse essere una bella cosa. Insomma, per quanto James volesse uccidere la maggior parte dei fratelli di suo padre, non lo aveva mai fatto (anche perché erano molto più potenti di lui, quindi avrebbero potuto spazzarlo via con un soffio), quindi non era proprio che sapesse come si sentisse Irwin. Però sapeva che, solitamente, dopo un lutto personale, si piangeva (o forse non vale quando sei tu ad uccidere la persona in questione? James non lo ha mai sperimentato personalmente, sinceramente), ed Irwin... beh, sì, piangeva di notte, quando era convinto che nessuno lo avrebbe potuto sentire, ma il problema era che poi, di giorno, diventava letteralmente insopportabile.

«Louise, per favore, tesoro, aggiusta quella lampada più a destra.» Ordinava in continuazione ai suoi domestici e, d'accordo, aveva sempre avuto quella vena da perfettino... ma così era sinceramente troppo: «No, Maurice, così il quadro è storto. Sì, guarda: adesso te lo dimostro.» E aveva tirato fuori un righello (di nuovo, ma che diavolo?! James era abbastanza sicuro di non vederne uno dalla seconda media) e aveva dimostrato al domestico che aveva ragione lui per una differenza minima. James aveva sospirato rumorosamente e Maurice aveva chiesto un giorno libero.

Quindi, non solo la notte doveva sorbirsi i pianti soffocati del re, perché le pareti delle stanze erano probabilmente fatte di cartapesta, ma di giorno doveva anche vederlo mentre si atteggiava in un modo che non gli donava assolutamente. Ah, e poi, stava ignorando James -e stavolta lui non aveva nemmeno fatto niente di male! Eleanoire gli aveva detto che, forse, Irwin gli stesse dando la colpa della morte di suo zio, ma per James quel ragionamento non aveva senso: suo zio si era solo servito di James per attuare i suoi piani malefici, ma James non aveva mai capito di essere al centro delle sue strategie, quindi lui non si sarebbe mai incolpato. Per questo, immaginò che sotto ci dovesse essere qualcos'altro, anche perché Irwin lo guardava e i suoi occhi si riempivano di lacrime.

Comunque, venendo alla somma delle cose: James avrebbe dovuto fare qualcosa. Solo che non era mai stato bravo a consolare le persone e il suo breve periodo che aveva trascorso da fidanzato si era concluso nel peggiore dei modi, quindi non era nemmeno in grado di potersi definire un ottimo amico/fidanzato/compagno/qualsiasi cosa fossero lui ed Irwin in quel momento. Cioè, era abbastanza sicuro di essere un dieci su dieci, ma non era sicuro che il re sarebbe stato dello stesso avviso. No, assolutamente no. Probabilmente era come diceva Eleanoire e il ragazzo lo odiava solo perché lo aveva convinto che suo zio fosse un traditore... e James era sicuro che Irwin, in quel momento, stesse odiando anche un po' se stesso.

Di questo era un esperto. Cioè- no, aspettate, ha formulato male il pensiero: non era la prima volta che Irwin affrontava una crisi a causa dell'odio che provava per gli altri e, soprattutto, per se stesso, visto che quando erano dei ragazzini era stato proprio lui ad insegnargli che per amare gli altri avrebbe dovuto, innanzitutto, amare se stesso. Quindi, era un esperto nel rubare frase filosofiche a sua mamma per insegnarle al ricciolino. Ecco, sì, suona sempre male ma almeno adesso è divertente... e anche vera.

Ecco perché James aveva deciso di andare a parlare con l'unica persona che gli avrebbe offerto cibo e una frase filosofica che avrebbe riutilizzato con Irwin facendogli pensare di essere dannatamente intelligente.

Stava giusto per uscire dalla sua camera quando Irwin irruppe in essa. "Devo parlarti." Annunciò il re, con un'aria di sufficienza tale da nascondere il fatto che, fino a sei ore prima, stesse piangendo sommessamente nella sua camera.

James inarcò un sopracciglio, appoggiandosi alla porta della propria camera. "Oh ciao Irwin sì io sto bene, e tu? Sono contento di sentire che hai sempre spazio per un po' di educazione per il tuo caro amico James!" Okay, forse era stato un po' scortese ma, insomma, Irwin non gli parlava da giorni e pretendeva di riattaccare bottone con lui senza nemmeno un po' di sana buona educazione? No, grazie. Era cresciuto nella Foresta, d'accordo, ma con dei sani principi.

Il re sbuffò. "Perché sei così scortese con me, Jam? Che ti ho fatto?"

Ah-ah. Gli stava chiedendo cosa gli avesse fatto. Esilarante, Irwin, un punto per te nella classe di simpatia. Avrebbe potuto stilare un elenco in diretta, o addirittura chiamare il suo psicologo per illustrare ad Irwin tutti i motivi per i quali gli aveva risposto in modo scortese (okay, ora stava esagerando, forse. Amava essere drammatico), ma decise semplicemente di sospirare e di stringersi nelle spalle. "Non so, tu come reagiresti se la persona con cui sei andato a letto meno di un mese fa improvvisamente, adesso, ti ignora e poi si presenta casualmente nella tua stanza dicendo di volerti parlare tenendo su una faccia funerea e senza nemmeno salutarla?"

Irwin gli sembrò come un cervo sulla strada davanti ad un camion. "Scusami se, dopo aver appreso che mio zio ha rovinato la mia famiglia, l'ho ucciso e i sensi di colpa mi stanno divorando."

Beh, James si sentì un poco orrendo. Un poco, però, perché Irwin aveva sempre torto, secondo lui. "Le buone maniere non andrebbero comunque dimenticate, pft."

Irwin annuì. "D'accordo. Scusami se sono venuto a chiederti aiuto senza salutarti, e scusami se la mia presenza ti urta, quando non siamo in camera da letto." Quando James si accigliò, non capendo cosa Irwin volesse dire, lui proseguì: "Dopotutto, io, per te, sono solo la persona con cui sei andato a letto, no?"

James sbuffò, sbattendosi una mano sulla fronte. "Oh mio Dio Irwin, ti prego. Non ricominciare a fare le paranoie, perché fa male alla pelle, tesoro." E- che diavolo?! Che cosa stupida. Non era questo ciò che avrebbe voluto dire. No, assolutamente. Avrebbe voluto cullarlo tra le sue braccia e dirgli che era normale sentirsi sbagliato e che James sarebbe stato ben felice di offrirgli una spalla su cui piangere ma no, doveva sempre rovinare tutto, lui.

Però Irwin aveva deciso di contrattaccare, perdendo l'espressione da cervo. "Così, adesso, sono anche paranoico? Oh, grazie tante, James! Ti prego, non smettere di parlare perché ogni volta che apri bocca dici una cosa sempre più carina nei confronti dell'unica persona che non ti ha abbandonato nonostante tutti dicessero che tu fossi un idiota." Il re tirò su con il naso, gli occhi lucidi. "E- sai che c'è? Dopo anni di conoscenza mi sento nelle condizioni di dire che avevano ragione." Irwin si morse un labbro nel momento stesso in cui ebbe finito di dire la frase.

James, invece, si sentì come se lo avessero pugnalato dieci volte sul cuore. "Okay. Se hai finito, io vorrei- ecco, sì, tornare nella mia stanza." Replicò, con la voce incrinata, chiudendogli la porta in faccia e decidendo di ignorare tutte le sue buone intenzioni di chiedere un consiglio a sua mamma per fare stare meglio Irwin.

Il Medaglione Di AlvagarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora