il telefono squillò. mi alzai di scatto dal divano per andare a rispondere. di solito nessuno chiamava, o almeno, nessuno aveva il nostro numero.
lo avevo dato solo a due persone: hyunjin e jisung.
«non può essere...» presi la cornetta, portandola all'orecchio.«pronto» dissi flebilmente, che a stento riuscii a sentirmi io.
«minho?» sentii dall'altra parte. era una voce femminile.all'inizio pensai fosse mia madre, ma poi la voce continuò a parlare.
«sono la madre di jisung» rilasciai un respiro che avevo trattenuto.
«oh, salve. come fa ad avere il mio numero?»«lo ha lasciato jisung appeso al frigo» sorrisi a quell'immagine.
«volevo dirti una cosa importante, perciò non vorrei dirtela al telefono»sospirai. mio padre sarebbe tornato a casa tra meno di un'ora.
«mi spiace, non penso di-»
«si tratta di jisung»mi bloccai prima di riuscire a dire altro. nel mio cervello centinaia di domande iniziarono a farsi spazio.
«ok, mi dia qualche minuto» chiusi la telefonata, correndo verso il piano di sopra per cercare qualcosa da mettere.
presi una maglia dalla pila di vestiti sulla mia sedia. scesi al piano di sotto, mi misi le scarpe ed aprii la porta.
davanti alla porta però, trovai mio padre che stava tornando dal lavoro.
«dove stai andando?» mi chiese.ci pensai un attimo.
«a casa di un amico» la sua espressione passò da normale a confusa.«non sapevo avessi altri amici oltre a quel viziato figlio di papà del cazzo» mi sorpassò ed entrò in casa.
«sono contento che sia morto»il mondo mi crollò addosso. ero riuscito a superare la morte di hyunjin, se così si può dire. ma quella frase riportò alla mente tutte le immagini del telegiornale, e anche seungmin in lacrime davanti a me.
«vaffanculo» dissi fermo, uscendo subito di casa, consapevole del fatto che quando sarei ritornato a casa avrei pagato il prezzo di quell'azione.
delle lacrime iniziarono a bagnarmi il volto. non volevo dover sentire quel vuoto nel petto ancora una volta. era stressante, e faceva davvero male.
hyunjin era l'unica persona che davvero importasse nella mia vita. e anche se non lo dimostrava spesso, gli volevo bene.
mi accascia per terra, finendo in un pianto isterico ma liberatorio.
iniziai a pensare alla mia vita. alle cose successe in passato, a quelle che stavano succedendo, e a quelle che avrei voluto succedessero.
la mia vita in quel momento stava andando a rotoli, e per quanto potessi negarlo a me stesso, non ero affatto felice.
mi odiavo, soprattutto per quello che era accaduto a jisung. continuai a ripetermi che fosse colpa mia, che non avrei dovuto lasciarlo andare da solo e che avrei dovuto accompagnarlo.
ma non ero sicuro con certezza che jisung fosse scomparso prima o dopo essere tornato a casa. in realtà nessuno ne era certo.
la polizia non faceva il suo lavoro, e l'unica cosa che ci dissero fu:
«signora, suo figlio non è qui. forse è partito lontano e lei dovrebbe farsene una ragione»inutile dire che sua madre stava piangendo, e anche tanto, sulla mia spalla. io invece cercavo di non uccidere il poliziotto con le mie stesse mani.
forse si era accorto del modo in cui lo stavo guardando, perché smise subito di parlare e se andò salutandoci.
tra le lacrime, accasciato su quel marciapiedi, risi. quel ricordo era l'unico divertente tra tutti.
mi alzai, cacciando via tutte le lacrime. iniziai a correre per arrivare prima.
dopo qualche minuto arrivai davanti casa di jisung. suonai il campanello e sua madre aprì quasi subito.
«entra, forza» disse lei, con un'inusuale fretta.
«allora? hanno trovato jisung?» ero impaziente, e lo si poteva leggere in ogni parte del mio corpo.lei sospirò pesantemente prima di parlare.
«no purtroppo» fece una pausa «ma hanno trovato uno dei ragazzi di cui mi hai parlato»gli occhi per poco non mi uscirono fuori dalle orbite. ne avevano trovato uno, ma sempre meglio di nessuno.
«chi dei due?» lei sembrò pensarci su per qualche secondo.
«mi pare si chiamasse chan» bingo. era proprio lui.«dove si trova ora?»
«in centrale, potrai andare a trovarlo domani»
«ha detto o confessato nulla?»lei scuotè la testa.
«per ora si rifiuta di parlare. dice che vuole prima vederti e parlare con te»ero stranito. perché voleva parlare con me? nemmeno mi conosceva e probabilmente non sapeva nemmeno il mio nome.
tuttavia però, ero quasi sollevato da quella notizia. avrei potuto parlare ad uno dei due presunti "rapitori" di jisung, sempre che fosse stato rapito.
«perché non vieni anche tu?» chiesi poi a sua madre, notando che avesse parlato solo al singolare.
le spuntò un sorriso sul volto.
«meglio di no, altrimenti potrebbe finire male»scoppiammo entrambi a ridere. la madre di jisung era una donna davvero forte. non tutti sarebbero rimasti così lucidi davanti alla scomparsa di un figlio.
e anche se allora non sapevo ancora del passato di jisung, la ammiravo per aver cresciuto jisung nonostante avesse un marito del genere.
la ammiravo. questa è l'unica cosa che mi viene da dire.
in quel momento, eravamo tutti e due legati da un'unica cosa: la speranza che jisung fosse vivo.
capitolo di transizione un po' inutile. vi faccio un piccolo spoiler: nel prossimo capitolo si racconterà di come jisung ha incontrato chan e changbin :)
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the one that got away (minsung)
Teen Fiction"used to steal your parents' liquor and climb to the roof, talk about our future like we had a clue never planned that one day, I'd be losing you" dove minho, un ragazzo di 18 anni con problemi in famiglia e di droga, incontra uno strano ragazzo si...