il giorno dopo arrivò, anche se per me molto lentamente. la notte non riuscii a chiudere occhio per l'ansia e l'agitazione.
mi rigirai nel letto senza trovare pace. alla fine, verso le cinque del mattino, riuscii ad addormentarmi.
mi alzai di scatto dal letto verso le due del pomeriggio, correndo al piano di sotto con la consapevolezza che forse avrei fatto tardi al mio "appuntamento", se così si può dire, con chan.
«abbiamo fatto le ore piccole sta notte?» chiese mio padre mentre beveva del caffè. non sembrava ricordarsi di quello che gli dissi il giorno prima.
non risposi, facendogli capire che non volessi parlare.
«come mai così di fretta?»
«come mai ti importa di me?»lui rimase quasi pietrificato da questa mia azione. tant'è che riprese a leggere il giornale senza proferire altre parole.
corsi via di casa sbattendomi la porta alle spalle. mi incamminai verso la. stazione di polizia, quando ad un tratto una macchina si accostò affianco a me.
era la madre di jisung.
«sali su, ti accompagno io» sorrisi. mi sarei risparmiato un po' di strada, e poi apprezzati molto quel gesto.in quel momento mi accorsi di quanto jisung assomigliasse a sua madre. non solo esteticamente, ma soprattutto caratterialmente. erano entrambi altruisti e facevano di tutto per aiutare il prossimo.
o forse ero solo io che facevo pena.
non lo saprò mai.
arrivammo alla centrale, dove dei polizzioti mi portarono in una stanza bianca con uno specchio e un tavolo in mezzo alla stanza.
avevo visto abbastanza film polizieschi da poter dire che quella fosse una stanza degli interrogatori.
ero da solo, seduto a quel tavolo. c'era un pannello di plastica che mi separava da una sedia vuota difronte a me, dove si sarebbe seduto chan.
ad un tratto la porta da dove ero entrato si aprì, rivelando chan ammanettato con dietro un poliziotto.
quest'ultimo spinse chan sulla sedia difronte la mia. nessuno spiccicò una parola.
il poliziotto tolse le manette a chan, per poi ammanettarlo al tavalo.
il poliziotto se ne andò, lasciandoci soli. chan iniziò a fissarmi negli occhi senza dire una parola. dire che mi sentissi a disagio era poco.
«allora...» dissi guardandomi intorno.
«ciao minho» iniziò chan.bloccai il mio sguardo su di lui.
«come fai a sapere il mio nome?»
«non ha importanza, so di essere stato io a volerti qui perché credo tu meriti delle risposte»iniziai ad agitarmi. quelle parole iniziavano a pesare molto, e sembrava che stesse per prepararmi al peggio.
«sei pronto?» annuii.
«bene, iniziamo con questa storiella»third person's pov
due anni prima...
«mamma io esco!!» urlò jisung davanti la porta di casa, pronto per uscire.
non sapeva se sua madre lo avesse sentito. sapeva che a lei non importasse molto di dove fosse o dove andasse, ma lui ci provava comunque.
uscì di fretta, correndo verso casa del suo migliore amico jeongin. i due sarebbero andati dopo a casa di felix, migliore amico di entrambi.
bussò più volte alla porta, senza però ricevere alcuna risposta. poi la porta si aprì di scatto, rivelando la figura della madre di jeongin che lo osservava i curiosito.
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the one that got away (minsung)
Teen Fiction"used to steal your parents' liquor and climb to the roof, talk about our future like we had a clue never planned that one day, I'd be losing you" dove minho, un ragazzo di 18 anni con problemi in famiglia e di droga, incontra uno strano ragazzo si...