5. Soft heart of a hard candy

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R A C H E L

POV



Ero dipendente dai dolci. Oppure, se vogliamo essere precisi, dallo zucchero.

Non riuscivo a farne a meno, sin da quando ero piccola. Anche se a quel tempo la dolcezza aveva un valore nella mia vita diverso.

Agli albori dell'infazia, tutti i bambini sono ghiotti di dolci. Mani impastate di gocce di cioccolato, nasini sporchi di zucchero a velo, alito fragante di miele e latte.

Guardavo incantata le vetrine delle pasticcerie, così colorate e lucenti, con le guance paffute premute contro il vetro gelito di brina. La precisione nei dettagli degli alimenti mi affascinava, l'armonia tra il cioccolato e la frutta creava un formicolio sulla base del mio stomaco e la musicalità tra le tonalità sgargianti suscitava un lieve riso sul mio viso.

Io credevo fossero quelle a donare la felicità nelle persone. Che fosse lo zucchero che addolcisse la vita.

Fu così che sviluppai la passione per la cucina. Volevo creare qualcosa che suscitava ammalia nello sguardo delle persone.

Quando compii i dieci anni, i dolciumi divennero la mia salvezza. Quando nella mia anima sembrava regnare l'oscurità, mi rifugiavo nelle sensazioni che lo zucchero mi cagionava. Nella delizia che scorreva tra le mie viscere.

Non esageravo mai, perchè non volevo perdere quell'amore con l'eccessivo. Ero sempre stata attenta con le dosi.

Il primo giorno di scuola a Chicago, il pranzo lo avevo passato da sola nel parcheggio, tra due pick-up, rotolandomi un pachetto di lecca lecca alla frutta. Un nascondiglio molto efficace, che mi permise da lì di visualizzare la situazione nella mensa, senza che gli altri mi notassero.

Accurato per il primo giorno almeno.

Non avrei potuto rifugiarmi lì per tutto l'anno scolastico, dovevo escogitare un modo per integrarmi in un gruppo, e assicurarmi un posto.

Leccavo la pallina al gusto fragola e panna, mentre i miei occhi attenti si erano posati su ognuno di quei tavoli, ma a fine pausa pranzo non avevo ancora trovato quello giusto per me.

Ero ritornata su quel pensiero durente la lezione di spagnolo.

Era la penultima lezione della giornata, e la mia mente si era già proiettata a due ore più avanti.

Mi sarei messa le mani nei capelli per quanto ero nella merda.

L'idea di sedermi con Becca e le sue amiche mi aveva sorvolato la mente, ma l'avevo scacciata quasi subito.

Una cosa che avevo notato fin dal primo giorno, era che la mia coinquilina cercava sempre si essere sola o di prendermi in disparte quando voleva parlarmi o accompagnarmi in classe.

Forse si vergognava di me, ma francamente non ne vedevo il motivo.

Comunque non penso che sarei stata la benvenuta.

La campanella trillò interrottamente mi unii alla fila di studenti che usciva dalla striminzita porta.

La prossima lezione che diritto con la professoressa Williams, e a quanto avevo capito era una insegnate molto preferita dal genere maschile.

Slivers of HopeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora