1. Broken record

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R A C H E L

POV





A volte mi pareva di tentare di stringere il filo assottigliato della mia vita, senza riuscirne nemmeno a percepirne il materiale.

Era una sensazione quasi perenne, abituale.

Anche se di abituale non aveva proprio nulla.

La vita sfuggiva tra i polpastrelli. Ma non riuscivo ad accorgermene.

Non avevo la certezza per poter definire quando questa sensazione cominciò a formicolarmi sotto la pelle.

I dottori avevano immediatamente tratto una ipotesi da associare questa mia visione apatica del mondo.

La più banale, ovvio.

Trauma famigliare.

Genitori morti e bambina traumatizzata, quindi conseguentemente inerme.

Semplice no?

Anche io inizialmente mi ero fatta abbindolare da questa visione, credendola più facile e comoda da accettare ma dentro di me sapevo che non fosse corretta.

Loro credevano che io cercassi di evitare le sensazioni per paura. Ma si sbagliavano.

Io le accoglievo l'emozioni, squarciavo una piccola fessura nel mio cuore a farle accesso.

Ma loro si macchiavano, si avvelenarono e infettavano anche le mie pareti vitali.

Erano indomabili. E io non riuscivo a gestirle e finivo per stare male.

Quando la sede dell'azienda dei miei genitori era affondata tra le fiamme di un immane incendio, io ero con mia cugina a casa degli zii.

Giocavamo insieme alla badante, non sia la donna di servizio della villa Conder, quando un signore imponete con una giacca scura e una camicia immacolata è venuto a bussare alla porta.

Consegnò una lettera a Naomi, la domestica, e con un'impeccabile freddezza gli comunicò l'accaduto.

Logan e Esmeralda Conder sono venuti a mancare. C'è stata una fuga di gas nell'edificio e non sono riusciti a salvarsi.

A sentir quelle parole, Naomi si accasciò in un pianto disperato, e io e mia cugina ci fiondammo da lei, preoccupate.

La supplicammo di spiegarci cosa fosse successo, perché vederla in quello stato era insopportabile.

Ma Naomi non parlava, non ci riusciva.

La nostra governante non smetteva di singhiozzare sconvolta, e quando provò ad alzare lo sguardo, il mio lo intercettò.

Fu come un'ennesima coltellata, e le copiose lacrime grondarono i suoi occhi a mandorla.

Ci abbracciò. Era un'abbraccio colmo di strazio.

Le frasi sconnesse che ci sussurrava tra i gemiti erano confuse e non capimmo il senso per cui ce le disse in quel preciso momento.

Andrà tutto bene. A-andrà tutto bene bambine, ve lo prometto.

Nelle ore a seguire un'altro uomo, vestito nella medesima maniera del primo, chiese a Naomi e a mia cugina di lasciarci da soli in salotto.

Mi spiegò la situazione pacatamente e facendo uso di paroloni che il vocabolario di una bambina di nove anni non possedeva.

L'uomo disse che i miei genitori quella sera non sarebbero tornati e non mi avrebbero preparato quei fantomatici cupcake che mi avevano promesso da settimane.

Slivers of HopeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora