3. The city of masks

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R A C H E L

POV





Mio padre diceva sempre che le emozioni erano come palle di vetro.

Fragili e affascinanti.

Tutti ordinate su una mensola in un angolino della nostra mente.

Loro presenza si percepiva dal flebile dimenare dei impercettibili fiocchetti di neve, quando qualcosa li faceva trasalire.

Credevo che le mie avessero il vetro sfocato e palpeggiato, e che fosse troppo offuscato da poterci vedere all'interno.

Quando lo avevo raccontato alla psicologa, lei, la seduta successiva, me ne regalò una.

«In caso dovessi non sentissi più la presenza delle palle di neve nella tua mente, agita questa qui»

Ero accucciata sul pavimento, intenta a svuotare gli scatoloni e mettere in ordine la mia roba.

L'avevo trovata in mezzo di vestiti, in modo che eventuali urti non la scheggiassero.

Nella sfera vi erano un gatto nero e una bambina incappucciata, che giocano in un prato innevato.

Mi ci soffermai un'attimo.

La scossi dolcemente e i fiocchettini iniziarono ad agitarsi intorno alle due figure.

«Le sentirò mai? Intendo le palle di neve nella mia testa?»

«Solo se non li soffocherai con dei falsi, i sentimenti innalzeranno»

«E quanto ci vorrà?»

«Non lo so, dipende da te. Per questo dovrai avere pazienza»

Io non l'avevo avuta, e mi toccava pagarne le conseguenze.

«Prometto di non soffocarli, anche se questo significherà essere inerme a tutto ciò che mi circonda»

Lo promisi a me stessa, ed ero determinata a mantenere quella promessa.

☁️

La sveglia sonante dal telefonino mi strappò brutalmente dai sogni, catapultandomi nel mondo reale.

Aprì a stento le palpebre, e le pareti sfolgorate dall'accecante barlume del sole mattiniero mi lacerarono le pupille deboli e vacillanti, e mi costrinsi sigillarle nuovamente.

Slivers of HopeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora