Capitolo 14.

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Sapete, Dylan mi faceva una paura tremenda. Anzi, peggio. Avevo quasi il terrore di lui.

Avete presente la sensazione che si prova quando un'ape si avvicina e voi cercate di rimanere là: immobili, impassibili. Fate di tutto per evitare di farla avvicinare, o comunque, cercate di non attirare la sua attenzione. A volte si cerca persino di far finta di niente, coprendosi gli occhi e canticchiando una qualsiasi canzone, a costo di far sparire quella tremenda sensazione di disagio e adrenalina.

Ricordo ancora quando feci una breve gita in un'azienda agricola dove allevavano le api.

Già, terribile. Non ditelo a me.

Eppure io ero lì. Solo che invece di cercare di mantenere il controllo, invece di fare l'impassibile apatica che ero, mi misi a gridare. Scappai, urlai e feci una tremenda scenata.

Adesso, tralasciando il fatto che quel giorno feci cadere centinaia di barattoli di miele fresco, dovremmo parlare di quella sensazione angosciante che mi prendeva ogni volta che una certa persona stava a contatto con me.

La presenza di Dylan era un qualcosa di completamente nuovo per me. Avevo cercato di respingerlo, di allontanarlo, di fare finta che lui non esistesse.

E invece lui c'era, mentre io ero per metà sulla terra, e per metà nel mio piccolo mondo totalmente imperfetto.

E ragazzi... incredibile, ma Dylan in quel mondo ci entrò.

«Ecco i piatti, signori. Buona cena.» ci sorrise il cameriere.

Su consiglio di Dylan, ordinai un piatto a casaccio. Scelsi il nome che più mi piaceva, e lui fece lo stesso.

«Bangers and Mash. Interessante.» sorrise Dylan.

Il "Bangers and Mash" era un piatto a base di salsiccia e patate, per quanto avevo capito. Il sapore non era niente male, ma detto molto sinceramente, avevo provato di meglio.

«Shepherd's Pie.» mugugnai.

Il piatto di Dylan era esattamente un pasticcio gratinato, fatto con ragù, piselli e altre cianfrusaglie incomprensibili. Dalla sua faccia, notai che neanche lui apprezzava molto la cucina aristocratica.

«Ricordami di denunciare questo posto non appena usciremo di qua.» disse a bassa voce, facendo una smorfia di disgusto. «Facciamo così, finiamo queste cose e poi vediamo se troviamo una pizzeria decente in questa cavolo di Cumbria.»

Scoppiai a ridere. Allora non era poi così aristocratico.

Una signora al tavolo di fianco al nostro, con l'aria da vera e propria Stronza con la s maiuscola, mi fissò come allibita. Si portò la mano alla bocca e scosse la testa.

Iniziò a bisbigliare qualcosa con il marito, ed entrambi mi fissarono.

«Scusi, c'è qualcosa che non va?» chiese Dylan accigliato.

Probabilmente aveva seguito il mio sguardo.

«No. Ma devo proprio dirglielo, signore, la sua accompagnatrice mi ricorda molto riccioli d'oro. È splendida, complimenti per la scelta.» sorrise dolcemente.

Ma un minuto prima non mi stava osservando come si fa solitamente con un microbo al microscopio?

Dopo una breve chiacchierata con i signori, uscimmo dal ristorante, senza neanche aver preso il dolce. Dylan era dell'opinione che se la prima portata facesse schifo, il dolce ci avrebbe traumatizzati.

Non mi volle neanche far pagare, e io detestavo, e dico detestavo davvero quando qualcuno pagava al mio posto.

«Allora, così giovani ma con le idee così chiare. Da quanto tempo siete sposati?» ci sorrise la signora, mentre eravamo diretti alla macchina.

Never let me go.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora