Capitolo 31.

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Dylan's Pov.

Ero agitato, quasi confuso.
Non mi era mai capitato di fare una pazzia del genere per qualcuno, nemmeno per me stesso.

Abituato alla noiosa monotonia che era diventata la mia vita, mi curavo davvero di poche cose. E di certo, quello che stavo per fare, non era una cosa che il Dylan di qualche mese fa avrebbe fatto.

«Scusi, lei è il Signor...?» mi domandò una timida ragazza bassa, con gli occhiali e con un'aria poco interessata a quello che stava facendo.

«Il Signor Coleman. Sono qui con la signorina Mason. Jane Mason. Controlli pure sulla lista.» risposi agitato.

Ci stava mettendo più del dovuto. Quanto ci voleva a controllare due dannati nomi su una maledetta lista?!

«Sì. Prego, quella è l'entra...»

«Lo so. Grazie e arrivederci.» la interruppi bruscamente.

Entrai in una sala abbastanza grande. Arredata ancora con le decorazioni natalizie, e di pessimo gusto, a mio parere. Una cinquantina di persone, circa, sorseggiavano champagne dai loro costosi calici, mentre i camerieri iniziavano ad entrare con vassoi colmi di quelle che dovevano essere sicuramente tartine ed escargot.
Vestiti eleganti, ed esagerati, tutti sembravano molto più interessati a sorseggiare lo champagne che avevano nel bicchiere, piuttosto che prestare attenzione ai bambini seduti in un angolo della sala.

Erano molto piccoli, come mi aveva detto Jane. E avevano tutti un'aria trasandata, quasi distrutta. Erano tristi e vuoti.

Diverse ragazze entrarono nella sala da una stanza a cui non avevo fatto caso.

Una bassa, troppo bassa per essere Jane. Una quasi anoressica, una con i capelli rossi, una con una folta chioma nera. Ma di Jane, neanche l'ombra. Dove diavolo era finita? Giurai a me stesso che se mi aveva mentito, e non si fosse trovata lì quella dannata sera me l'avrebbe pagata cara.
Detestavo le bugie. E le detestavo ancora di più quando era lei a dirmele.

Mi guardai intorno, cercando di scorgere i suoi lunghi capelli ricci e biondi. Ma di quell'angioletto, nemmeno l'ombra.

«Ridammelo, è mio!»

«No, non è vero! C'è scritto il mio nome qui sopra.»

«Lo hai scritto tu! Lo hai fatto apposta!»

«Va al diavolo brutta nanetta, questo è mio e non si discute!»

Improvvisamente calò un silenzio in tutta la sala, e tutte le teste si voltarono per guardare quello strano litigio tra due bambine. Una più grande, e un'altra più piccola.

«Cosa diamine succede qua? Vi sembra questo il modo di comportarvi quando abbiamo ospiti?!» tuonò un'acida voce femminile. Proveniva da una signora di mezza età: alta, magra, con un vestito nero e una pelliccia che le copriva le spalle magre. Mi ricordava molto la Signorina Rottermeier, ma questa era sicuramente più brutta e più cattiva.

La donna si chinò sulle bambine afferrandole per i gomiti, e iniziò a ghignare qualcosa contro di loro. Nel frattempo, nessuno ci fece caso più di tanto, e ripresero tutti a parlare come se niente fosse.

Lentamente, e cercando di mantenere la calma, mi avvicinai il più possibile al punto in cui si stava svolgendo quella spiacevole scena. Non avrei permesso che qualcuno trattasse in un modo simile dei bambini, in modo particolare, dei bambini orfani.

«Scusi, le sembra questo il modo di rivolgersi verso delle bambine? Stavano avendo un normalissimo litigio, come può ben constatare. Non mi sembra il caso di essere aggressiva e davvero ben poco educata.»

Never let me go.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora