Quella notte avrei dovuto prendere i sonniferi che Chelsea si era portata in caso di emergenze.
Qualche volta mi capitava di avere incubi. Incubi brutti, malefici e terrificanti. Piante carnivore che cercavano di divorarmi, bambole assassine assetate del mio sangue, una casa abbandonata e Dave come protagonista. Non avevo mai avuto sonni tranquilli, ma quello... quello era troppo. Ero come paralizzata, come se mi fosse crollato d'improvviso tutto il mondo addosso. Era come vedere la persona che si ama, morire sotto i propri occhi. Avevo perso così mio padre, e anche Dylan, anche se non in senso fisico.
«Tesoro, dì qualcosa. Ti prego.» mi supplicò Shana per l'ennesima volta.
In tutta risposta continuai a fissare il vuoto, e a tenermi concentrata sull'irregolarità dei miei respiri. Ne ero convinta, non sapevo tutto. Lui soffriva ancora. E detestavo ammetterlo, anzi, mi infastidiva quasi quanto l'orticaria... ma lui mi mancava.
«Niente, Av. Non parla.» sospirò come se io non fossi là.
«Colton sta arrivando. Dannazione, le avevo detto che quando era nervosa doveva prendere quei cazzo di tranquillanti.»
«Sonniferi.» la corresse Shana.
«Qualsiasi cosa fossero, lei doveva ingerirli, buttarli giù e farli arrivare alle sue cazzo di cellule nervose.» ringhiò Avril, «Detesto vederla così, mi fa andare in tilt il cervello. Guardala, cazzo. Guardala, e dimmi se non è morta. Non c'è più. Fissa il vuoto, non so nemmeno se ci sta ascoltando.»
«Dovremmo darci una calmata tutte quante.» intervenne Tami.
«Io non posso.» mormorò Avril, «Semplicemente non posso vedere lei che se ne va via così... da me. E' mia sorella, la mia migliore amica, la mia seconda mamma. E' stata lei a farmi la ceretta per la prima volta. È stata lei a tirarmi le sopracciglia, ad aiutarmi a scrivere i primi testi alle elementari e a picchiare insieme a me un bambino che all'asilo mi picchiava. Io ho bisogno di lei. Io rivoglio la mia Jane.» singhiozzò.
Con l'arrivo di Colton le cose migliorarono. Odiavo essere al centro dell'attenzione. Forse odiavo ancora di più essere guardata con compassione, come se fossi una persona con problemi mentali.
In diversi momenti, durante quella notte, pensai di essere davvero completamente impazzita. Ciondolavo su me stessa, continuando a ripetere mentalmente 'Non portatemelo via, vi prego. Non ancora. Non di nuovo.' Mi sembrava di averlo visto. Avevo avuto come l'impressione di sentire la sua voce, la sua presenza.
Pensai persino di avere le allucinazioni. Dopo che Chelsea mi diede delle pillole, il mondo iniziò a girare lentamente, e la mia capacità di autocontrollo svanì. Passai l'intera notte piangendo fra le dolci braccia di Avril. Lei, dal canto suo, si era calmata, e continuava ad incoraggiarmi, a spronarmi e a prendermi in giro, facendomi scappare di tanto in tanto un sorriso vero.
«Pulce, se Jack ti vedesse in queste condizioni ti ucciderebbe di sicuro, puoi starne certa. E io lo aiuterei.» disse sorridendo.
Se Jack mi avesse visto, pensai, avrebbe di certo allentato il nodo che sentivo stringermi. Mi avrebbe rotto così tanto le scatole, da farmi reagire. Mi avrebbe letteralmente costretta a reagire. Mi mancava da morire la sicurezza che riusciva a darmi.
Con lui non esistevano mezze misure. Lui prendeva il problema, se lo piazzava davanti, e lo affrontava esattamente come andava fatto. Lo ammiravo, aveva una forza e una grinta che io non avrei mai avuto.
***
«Hai scelto proprio il giorno perfetto per sclerare, amica mia.» mi sorrise Chelsea comprensiva, quel pomeriggio.
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Never let me go.
RomanceA diciannove anni, Jane Mason era riuscita a mandare a monte la sua vita, lasciandosi andare ad un destino che non le toccava. Orgogliosa, sensibile e tremendamente testarda, non si faceva abbattere da nessuno, tanto meno da un tipo qualunque, conos...